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Liberazione: Una storia di normale precarietà scolastica

Caserta, due giovani insegnanti aspettano di entrare di ruolo. Lui è stato bloccato per due anni dalle scartoffie, lei non aveva neanche il diritto al riposo dopo un aborto

23/08/2006
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Liberazione

Sara Picardo
C’era una volta... una giovane professoressa precaria di Caserta, che viveva insieme al suo caro sposo e ogni mattina si svegliava presto, anzi prestissimo, per andare a insegnare a Latina. Sembra l’inizio di una favola di Andersen, invece è solo l’inizio di un incubo comune, purtroppo, di tante giovani coppie di precari della scuola pubblica italiana che, come risulta dai dati resi noti ieri dal Censis, hanno contratti atipici nel 20,2 % dei casi.
Cristina ha 32 anni e insegna scienze in una scuola di Latina, a più di un’ora di treno da casa sua. Una delle tante pendolari del lavoro, precaria della scuola pubblica italiana dal 2003. Suo marito, Giulio, insegnante di materie letterarie, precario dal 1993, sembrava aver finito il suo lungo calvario di attesa del “posto fisso” questa fine di luglio. Solo che, per un mero errore burocratico (la collega di cui dovrebbe prendere il posto, trasferita in altra sede, risulta ancora nel registro insegnanti della vecchia scuola), la sua tanto agognata cattedra risulta occupata. E la speranza di riuscire a pagare il mutuo, per i due giovani sposi insegnanti, come nelle peggior storie d’orchi e draghi, si sarebbe tramutata in sogno per sparire al risveglio, se il buon provveditore agli studi non fosse intervenuto smuovendo telefoni e scartoffie per riuscire a risolvere l’arcano. Così a settembre Giulio entrerà - forse - finalmente di ruolo.

Al povero sposo era già capitato di illudersi più volte, tra circolari ministeriali, attese di concorsi, corsi e ri-corsi di perfezionamento. Una volta, addirittura, aveva aspettato due anni che da una scrivania impolverata saltasse fuori, tra mille fascicoli il suo, e che finalmente, senza scomodare i solerti carabinieri per l’ardua ricerca, cominciasse anche per lui il lungo calvario di supplenze e spostamenti.

Ma, come si suol dire, non finisce qui: altre prove spettano ai nostri due eroi prima di ottenere, per comprovate virtù di flessibilità e costanza, il desiderato mutuo: Cristina infatti è ancora lontana dall’ottenere cattedra e avvicinamento. Perché se è vero che bisogna essere un po’ eroi è vero anche che si deve essere tanto, tanto flessibili per riuscire a districarsi nel mare del lavoro atipico nel nostro Bel paese. Senza mai perdere la fiducia, anche quando, come è successo a Cristina, ti vedi sfumar via il “posto precario” perché il giorno dopo un aborto non puoi essere lì, al lavoro, e quello che per te è un dramma per alcuni diventa malattia e tu non ne hai diritto. Insomma, se la speranza è l’ultima a morire, la pazienza ha però dei limiti: quelli della dignità e, a volte, anche del denaro speso tra università, dottorati e corsi di perfezionamento.

Ci sarebbe da proporre, all’ingresso d’ogni provveditorato agli studi, la frase di dantesca memoria: lasciate ogni speranza, voi che entrate... perché d’uscita, per ora, non se ne vede traccia


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