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Liberazione-Una scuola pubblica distrutta

Una scuola pubblica distrutta a noi toccherà ricostruirla Caro direttore, entrare nel merito della polemica sulla riforma Moratti è un esercizio che ormai coinvolge tutte le persone con un m...

14/06/2004
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Liberazione

Una scuola pubblica distrutta a noi toccherà ricostruirla
Caro direttore, entrare nel merito della polemica sulla riforma Moratti è un esercizio che ormai coinvolge tutte le persone con un minimo di buon senso: il taglio del tempo pieno, con incredibili disagi per la maggior parte delle famiglie, l'obbligo, camuffato da "diritto-dovere", che invece di innalzarsi a 18 anni si abbassa a 13 dai 15 previsti odiernamente, le esperienze lavorative da affiancare facoltativamente allo studio che sanciscono tacitamente la giustificazione del lavoro minorile, peraltro non retribuito, consegnando così alle aziende "partner" manodopera fresca e gratuita, il dichiarato intento di plasmare l'universo scolastico sul modello "aziendale", il corso di "taglio e cucito" da imporre alle ragazze, che vengono retrogradate come mezzo secolo fa e per le quali si prospetta un futuro tutto "casa, chiesa e uncinetto" secondo le direttive governative, lo scandaloso taglio di fondi per la scuola pubblica a favore di quella privata...
A tutto questo si aggiunge un ulteriore tragicomico capitolo: la scelta della valutazione dei docenti da parte degli allievi nelle università statali, che sarebbe una buona idea, se non fosse che da tali giudizi dipenderà addirittura il 30% dei proventi destinato agli atenei, a seconda della negatività o positività dei pareri espressi. Ecco lo scenario che si prospetta: la stragrande maggioranza degli studenti considererà i suddetti test come formalità o come perdite di tempo (cosa che già avviene oggi), non sapendo, data la carenza di informazione sulla novità, che il futuro dell'università frequentante dipende dalle considerazioni da essi espresse sull'operato dei professori. Non osiamo immaginare cosa accadrà al Sud, dove la preparazione dei docenti è in moltissimi casi approssimativa e da ciò dovremmo dedurne che in base a questo scellerato decreto, gli atenei meridionali invece di essere adeguatamente sostenuti per aiutarli a crescere, saranno costretti a chiudere nel giro di pochi anni.

Ma siccome le cattive notizie non arrivano mai da sole, ecco la picconata che affonda il credo costituzionale della scuola pubblica libera e laica: la cosiddetta "antropologia cristiana" dovrà fungere da base, stimolo e obbligatorio strumento di confronto per tutte le materie scolastiche che si affronteranno nelle "ex scuole elementari e medie", ponendo così fine al prevalere di un "malevolo relativismo" per condurci tutti sulla retta via cattolica e trasformando di fatto l'insegnamento della religione da facoltativo ad obbligatorio e persuasivo del porre i propri "indiscutibili" dogmi anche fra le righe delle altre discipline. Il carattere facoltativo, a dire il vero, viene confermato formalmente, ma l'assunzione di 15000 nuovi insegnanti di religione (con i precari che restano drammaticamente tali) a fronte di una realtà che si presenta sempre più multirazziale e quindi con sempre meno necessità di proporre un unico orizzonte religioso, e il ruolo autorevole che la Cei ha avuto nella "riforma", ci avviano verso un modello "scolastico-confessionale" che non ha eguali nel mondo occidentale. Se ne è avuto l'esempio "preventivo" con l'allucinante decisione (poi ritirata per il bene delle nostre menti e per l'indignazione sollevata) di togliere dai programmi, sempre delle "ex scuole elementari e medie", l'insegnamento della teoria evoluzionistica di Darwin.

Ribellarsi a questo sconcio è necessario, distruggere la riforma deve essere l'imperativo categorico e deve fungere da preludio per una svolta nel campo delle riforme scolastiche che sia veramente seria e convincente, garantendo gli interessi di tutti gli studenti in egual misura e ponendo al centro dell'attenzione il ruolo che le istituzioni scolastiche devono avere nell'espandersi, reale e quanto più aperto alle varie influenze, della cultura come strumento per comprendere a fondo le dinamiche e le contraddizioni profonde della società in cui viviamo.

Giuseppe Morrone


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