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Liberazione-"Stranieri alla scuola pubblica. Ma conservino la loro cultura"

Interviene Ivana Padoan, docente di Pedagogia sociale ed Epistemologia della conoscenza alla Ca' Foscari di Venezia: "Via Quaranta? Una questione politica" "Stranieri alla scuola pubblica. Ma conser...

28/09/2005
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Liberazione

Interviene Ivana Padoan, docente di Pedagogia sociale ed Epistemologia della conoscenza alla Ca' Foscari di Venezia: "Via Quaranta? Una questione politica"
"Stranieri alla scuola pubblica. Ma conservino la loro cultura"
Laura Eduati
Irecenti fatti della scuola di via Quaranta, a Milano, pongono una questione: come gestire l'integrazione dei migranti fin dai banchi di scuola? Ed è giusto che una comunità come quella egiziana mandi i propri figli a studiare l'arabo in una scuola creata apposta per loro? "Quella di Milano è una vicenda viziata dalla politica", commenta Ivana Padoan, docente di Pedagogia sociale ed Epistemologia della conoscenza all'università Ca' Foscari di Venezia. "Lì si sono formati due zoccoli ideologici contrapposti, e il conflitto si è così radicalizzato che ora il dialogo risulta difficile". Come venirne fuori? "Credo che gli stranieri debbano frequentare le scuole italiane - e allo stesso tempo lottare per il diritto a studiare la loro lingua, come succede nel resto del mondo".

Professoressa Padoan, in Europa e nei paesi a forte migrazione, esistono le cosiddette "scuole etniche". Che cosa sono, e soprattutto: potrebbero rappresentare una soluzione?

Per scuola etnica si intende sia una scuola completa con i programmi quasi esclusivamente impartiti nella lingua materna dei migranti (come i licei italiani nelle capitali straniere, ndr), oppure dei corsi di lingua e cultura, dove i bambini stranieri - che la mattina frequentano la scuola pubblica - si ritrovano per dare continuità alle loro origini. Putroppo le scuole etniche italiane all'estero promuovono un'immagine dell'Italia stereotipata, fatta dei soliti carretti siciliani e della cultura enogastronomica. Questo perché il rapporto vero con il paese d'origine si perde con gli anni, e queste comunità diventano fortemente conservatrici.

Dunque, sarebbe a favore di scuole etniche arabe, cinesi, africane in Italia?

Sì, ma con delle riserve. Credo che uno straniero che vive in Italia, anche temporaneamente, dovrebbe mandare i propri figli alla scuola pubblica: è un fatto di democrazia - e poi l'Italia ha ancora una delle scuole migliori e più aperte del mondo. Ma penso anche che sia una questione di libertà: libertà per gli stranieri che imparano la nostra cultura, e libertà per noi che ci arricchiamo con la loro. Credo inoltre che ogni straniero abbia il diritto di studiare la propria lingua in Italia.

Ma i professori sono preparati a ricevere in classe bambini di così tante culture?

I professori italiani purtroppo si ritrovano classi culturalmente miste e devono sbrigarsela da soli. La maggior parte tenta di risolvere il problema con grande professionalità, ma il loro è volontariato. E questo non è giusto. Una scuola mista deve avere un programma multiculturale e i docenti devono essere sostenuti. Oggi manca la tecnicità.

E chi deve fornirla?

L'Italia è l'unico Paese occidentale dove la scuola è slegata dal territorio. Tutto dipende dal ministero, anche quando si rompe un termosifone. Invece deve crearsi una cooperazione tra la scuola e il tessuto sociale nel quale è immersa.

Qual è il suo parere sulla scuola di via Quaranta?

La vicenda ha assunto dei contorni politici. Il conflitto si è radicalizzato. E invece i discorsi sull'integrazione - che io chiamerei inserimento - dovrebbero assumere altre forme, magari prendendo a esempio ciò che succede all'estero, e fare un ventaglio di proposte, senza intestardirsi sull'"aut aut".

Da chi dovrebbe prendere esempio l'Italia?

Certamente non dalla Gran Bretagna, che ha creato una società multiculturale segregando, di fatto, le varie etnie che la compongono. La cultura britannica è, di fatto, fortemente classista. E a dispetto dei forti flussi migratori è la cultura "wasp" che continua a dominare. Ha mai visto una rock band inglese che non sia di razza bianca? In Francia, invece, la convivenza delle etnie ha generato più tolleranza e ha lasciato emergere anche le altre culture. In Gran Bretagna, come in Olanda, il modello separatista (fondato sulla regola: "Dividiamoci lo spazio senza procurarci danno a vicenda") è fallito. E ora le etnie portano una serie di rivendicazioni, hanno covato una rabbia sorda perchè sono state escluse. E oggi se ne vedono le conseguenze.

E l'Italia cosa può fare?

L'Italia ha una cultura politica ancora molto debole rispetto alla Gran Bretagna. Ecco perché non deve cedere alla tentazione di segregare le varie etnie: non saprebbe gestire la situazione, specialmente perché i migranti presenti in Italia - cinesi e arabi "in primis" - sono portatori di una identità molto forte.

Quindi?

Bisogna riconoscere ai soggetti che si spostano nel mondo, ovunque vadano, le loro competenze specifiche. Negare ad un ingegnere tunisino, immigrato in Italia, il suo valore professionale è una cattiveria gratuita del paese ospitante. Ridurrei la lentezza burocratica del riconoscimento dei titoli di studio. Ma questo succede anche tra membri dell'Unione Europea, si figuri con i Paesi extracomunitari. Eppure continuiamo a vedere lo straniero come un soggetto non culturale: solo braccia per l'industria e l'agricoltura. Apriamo loro anche spazi culturali, riconosciamo loro la capacità intellettuale. E sfruttiamo quello che per molti versi è una debolezza, ma che in questo caso potrebbe tornarci a vantaggio: le smagliature della società italiana, la scarsa coesione civica si facciano tolleranza, e apriamoci allo straniero. E' l'unica via.


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