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Liberazione: Sciopero generale per salvare la ricerca

Non solo opposizione, ma difesa della natura democratica della ricerca pubblica

02/07/2008
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Liberazione

Fabio de Nardis*
Il governo approva il decreto legge collegato alla manovra finanziaria che con i suoi 84 articoli più due allegati si presenta da solo come una pre-finanziaria. Si profila un quadro macabro per tutto il comparto della formazione. Si conferma la tendenza della politica nostrana a considerare la conoscenza come una voce di bilancio da cui risparmiare, con l'aggravante di voler connettere i tagli a progetti di riforma strutturali che rischiano di snaturare il ruolo e il significato dell'istruzione pubblica in Italia. Come denuncia la FLC Cgil, l'ispirazione generale in materia di Pubblico Impiego è coerente con la campagna propagandistica delle scorse settimane: norme rigide, attacchi al sindacato, crociate contro i cosiddetti "fannulloni", tagli indiscriminati al settore pubblico per finanziare l'abolizione dell'ICI. Se tutto ciò avrà seguito, le conseguenze su Scuola, Università e Ricerca saranno pesantissime.
Silvio Berlusconi, che non è certo noto per la sua attenzione ai temi della ricerca e della formazione, sembra rendersene conto, se in accordo col fedelissimo Tremonti, decide di sigillare questo obbrobrio legislativo commissariando de facto il Ministero dell'Istruzione. Con decreto apposito della Presidenza del Consiglio la ministra Gelmini sarà infatti affiancata da una task force di esperti tecnico-finanziari che dovrà controllare tutte le operazioni a rilievo contabile riguardanti il suo Ministero. Ma vediamole nello specifico del comparto universitario queste operazioni a cui il Premier e il Ministro delle Finanze sembrano tenere tanto.
Di fronte a un sistema universitario che non riesce a fronteggiare la domanda sociale di conoscenza ci aspetteremmo un provvedimento che preveda stabilizzazioni e un reclutamento straordinario di nuovi ricercatori e invece il Governo propone un taglio di 500 milioni di euro e di fatto il blocco delle assunzioni fino al 2013 sia per i tecnici-amministrativi che per ricercatori e docenti. Data non casuale se si pensa che quell'anno diventerà operativa la Legge Moratti, che il governo di centrosinistra ha la responsabilità di non aver abrogato per tempo, e che prevede la messa in esaurimento del ruolo di ricercatore strutturato. Ma al Governo non è sufficiente uccidere la speranza ancora viva in migliaia di giovani studiosi e lavoratori della conoscenza di una vita libera dall'angoscia corrosiva della precarietà, decide di metterci il carico da novanta riducendo di fatto gli stipendi dei ricercatori già strutturati, portando gli scatti stipendiali da biennali a triennali con una perdita secca e definitiva del 33% di ogni scatto fino alla pensione. E dire che anche l'Europa aveva denunciato la debolezza dei salari dei nostri ricercatori che al limite andrebbero ritoccati al rialzo e invece li si condanna a una inevitabile proletarizzazione. Siamo già inorriditi eppure c'è dell'altro. Il decreto legge articolato prevede infatti la possibilità per le Università di trasformarsi in Fondazioni di diritto privato (proposta tra l'altro condivisa dagli "esperti" del partito democratico). Non dunque di costituire o partecipare a Fondazioni ma di mutare il loro stesso status giuridico. In questo modo un patrimonio pubblico verrebbe alienato in favore di soggetti privati. In quanto Enti Privati, le nuove Università sarebbero svincolate dalle regole di bilancio e rendicontazione cui è sottoposto il settore pubblico. Questo vorrebbe dire licenziamenti di massa e concorrenza sfrenata tra gli atenei con l'inevitabile costituzione di sacche di privilegio geo-politico e geo-economico, la costituzione di poli di pseudo-eccellenza a cui potranno accedere solo i figli della borghesia in grado di de-regionalizzarsi, mantenersi lontano da casa e pagare tasse universitarie sempre più alte. Insomma. Con un semplice decreto legge il Governo ha deciso di abbattere quarant'anni di conquiste sociali per un sistema di formazione pubblico e una conoscenza accessibile a tutte e tutti.
A proposito di diritto allo studio. Il Tar del Lazio ha annullato i test di accesso alla Facoltà di Medicina dello scorso anno dando ragione a chi come noi denunciava brogli e irregolarità e contraddicendo dunque il parere dell'Avvocatura dello Stato che aveva consentito a settembre di non annullare il test ritenendolo valido solo sulla base di alcuni quesiti. Dinamiche poco trasparenti, irregolarità della commissione valutatrice, domande sbagliate. È così che nel nostro paese si selezionano i futuri medici. Di fronte a uno scandalo di questo tipo ci saremmo aspettati una presa di posizione forte da parte della Ministra e magari l'annullamento dei test di ingresso per quest'anno. Invece no. Noi chiediamo, insieme a studenti e tante associazioni della società civile, l'abrogazione della legge vergogna 264/99 che ha consentito lo scempio reazionario del numero programmato, riducendo il libero accesso alla conoscenza; la Gelmini invece dichiara di voler aumentare ulteriormente i corsi a numero chiuso.
Qui non si tratta semplicemente di fare opposizione a un Governo che propone egoismo sociale e concorrenza. Occorre difendere la natura intrinsecamente democratica della ricerca pubblica. Per questa ragione proponiamo a tutti i collettivi, ai sindacati, alle associazioni degli studenti, dei docenti, dei ricercatori e del personale tecnico-amministrativo di partecipare con noi a una grande mobilitazione contro le proposte del Governo. Chiediamo lo sciopero generale per salvare il bene comune della conoscenza.
*dipartimento Università e Ricerca Prc
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