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Liberazione: Quello che ci dice il “Manifesto dei ricercatori” del Cnr

Loredana Fraleone

29/08/2006
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Liberazione

Nel numero di agosto della prestigiosa rivista Le Scienze, edizione italiana di Scientific American, compare la notizia che 925 ricercatori del Cnr, sottoscrivendo un documento comune, hanno creato un movimento che chiede essenzialmente trasparenza nella gestione di quello che dovrebbe essere il più importante ente di ricerca pubblica del nostro paese. Una gestione che il governo Berlusconi aveva finalizzato al suo progressivo smantellamento.
Il “Manifesto dei ricercatori” si pone infatti come obiettivo prioritario l’indizione di “primarie” per l’individuazione del nuovo presidente del Cnr, puntando ovviamente ad una totale inversione di tendenza rispetto alla gestione degli ultimi anni.

Si tratta di una iniziativa interessante ed importante, che non deve rischiare di rimanere confinata tra gli addetti ai lavori. Viviamo in un paese che continua ad essere miracolato da realtà d’eccellenza anche nel campo ultratrascurato della ricerca, ma questo non vuol dire che non abbiamo un bisogno vitale, sul piano sociale, economico e culturale, del rilancio di questo settore della conoscenza, che più di altri parla direttamente del futuro della nostra società.

I ricercatori del Cnr, con la loro iniziativa, sono anche la spia di come la contraddizione di una società che richiede maggiore conoscenza e creatività, ma non investa su di esse, stimoli sempre più alla mobilitazione i soggetti che vi sono legati. Si tratta di soggetti la cui identità professionale è immediatamente legata all’attività che svolgono, e la loro valorizzazione professionale e sociale è tutt’uno con quella del campo di cui si occupano, sia essa la ricerca vera e propria o l’insegnamento o la produzione culturale di qualsiasi genere.

Sono soggetti abituati al lavoro cooperativo, alfabetizzati rispetto alle nuove forme di comunicazione e dunque capaci di mettersi in rete ed autorganizzarsi. Soggetti che mal sopportano l’esclusione dalle decisioni sulla gestione del proprio lavoro, perché portati per funzione a percorsi partecipativi.

Proprio sul terreno della partecipazione incontrano l’Unione, che si può dire ne porti quasi un tratto originario. Nella sua fase costituente si è realizzato infatti quel grande quanto inaspettato evento delle primarie. La campagna elettorale per la scelta del leader della coalizione ha mobilitato il popolo che ha poi determinato la vittoria di questo schieramento. Bisogna ricordare più spesso forse ai nostri alleati quell’atto fondativo per l’Unione. Bisogna ricordarlo, proprio perché al suo interno non mancano forze che avversano pratiche di coinvolgimento di quei soggetti che chiedono di condividere le scelte che li riguardano.

Probabilmente è questo il segno più interessante e rassicurante del governo Prodi. Il fatto che volente o nolente debba mantenersi aderente al contesto che lo ha prodotto. Non penso che questo porti ad una valutazione eccessivamente ottimistica della fase che attraversiamo, difficile e carica di contraddizioni, ma la richiesta di pratiche partecipative che continua ad avanzare, e che anzi l’attuale governo sembra aver in qualche modo persino liberato, costituisce una specie di precondizione per la possibilità del cambiamento. Iniziative come quella del “Manifesto dei ricercatori” propongono pratiche che non solo costituiscono una rottura con la fase precedente, ma spingono in avanti, sul piano civile e politico, prefigurando un modello di società in cui la rappresentanza si disloca su diversi piani e si articola ben al di là di quella istituzionale classica.


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