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Liberazione: «Precarietà? Dopo la Bolkestein e il Cpe la battaglia non è finita»

Intervista a Walter Cerfeda, rappresentante italiano nella segreteria della Confederazione europea dei sindacati. «L’Europa si trova sempre più davanti a un bivio tra un modello liberista e uno sociale»

22/04/2006
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Liberazione

Fabio Sebastiani
Prima il tentativo riuscito di arginare la Bolkestein, poi il grande movimento francese contro la precarietà, senza contare i rumors in Germania e in Spagna contro qualsiasi ipotesi di attaccare i diritti dei lavoratori sia per quel che riguarda la prestazione lavorativa che sul piano contrattuale. Ce ne è abbastanza per interrogare il sindacato europeo, la Ces, sulle prospettive future di una battaglia che non si annuncia per niente facile e che vede in agenda altre scadenza impegnative. A giugno, ma con molta probabilità il termine slitterà di due mesi, la Commissione europea presenterà il Libro Verde sulla riforma del diritto del lavoro in Europa. Più o meno nello stesso periodo inizierà una “consultazione” tra tutti i segretari generali dei vari sindacati nazionali sul prossimo congresso della Ces, che si terrà a Siviglia il prossimo anno

Coma è stata registrata dal sindacato europeo la grande vittoria dei giovani francesi?
Con grande entusiasmo. Anche perché quel che stiamo notando è che proprio quando le controparti provano sul terreno della precarietà ecco che scatta un fronte sociale molto compatto. Ciò corrisponde ad un altissimo grado di unità dei sindacati. E questo non può che farci piacere. Fu così in Spagna con la legge liberalizzatrice di Aznar, è stato così in Francia, ma anche in Austria, dove si è tornati a scioperare dopo 50 anni, in Gran Bretagna e in Germania, con la Merkel che ha dovuto ritirare dal suo programma elettorale il punto sui diritti dei lavoratori. Sono risultati come quello francese che consentono alla Ces di costruire una impalcatura politica in vista della preparazione del confronto con la Commissione europea. Vorrei far notare che muovendo da una situazione in cui Commissione europea, da una parte, e Parlamento europeo, dall’altra, vanno in due direzioni opposte, diventa molto importante ciò che accade nel Consiglio europeo in relazione anche ai vari cambiamenti di leadership che si avranno in seguito alle varie scadenze delle elezioni politiche.

Cosa prevedete di fare?

E’ evidente che l’Europa si trova sempre più davanti a un bivio tra un modello liberista e uno sociale. Il primo di stampo anglosassone e il secondo ispirato alla cultura politica tedesco-scandinava. La Commissione europea sta cercando, in modo un po’ involuto, di stabilire una via di mezzo attraverso la flex-security. Ma in realtà quel che è riuscita a fissare è, ad oggi, una flessibilità senza sicurezza; perché per avere questo secondo elemento occorre un sistema fiscale unificato che attualmente l’Europa non può vantare.

Quale è la situazione della precarietà in Europa?

I dati non lasciano adito a interpretazioni ottimistiche o miracolistiche. Dal 2001 ad oggi abbiamo avuto performance di Pil sempre intorno all’1% con una disoccupazione che raggiunge i 20 milioni di persone. Contemporaneamente il part-time ha subito un incremento dell’11 al 17% e i contratti a tempo determinato sono passati dall’8 al 13, 8%. Di questi il 46% sono giovani sotto i 25 anni. Infine, i lavoratori parasubordinati sono passati da 14 milioni a 23 milioni. Lo stesso lavoro interinale, prima riusciva a sfornare comunque un 80% di lavoratori che dopo un certo periodo di tempo ottenevano un contratto a tempo indeterminato, oggi si parla quasi esclusivamente di lavoro intermittente. Va detto, infine, che il 15% dei lavoratori europei ha un salario di sussistenza. Questa evoluzione dà il segno chiaro di una crisi del modello liberista e impone una riflessione approfondita.


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