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Liberazione. La scuola sul tetto per resistere

Non si contano presidi e tetti affollati da precari della scuola, che hanno seguito scrupolosamente la lezione degli operai dell'Innse

08/09/2009
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Loredana Fraleone

Non si contano presidi e tetti affollati da precari della scuola, che hanno seguito scrupolosamente la lezione degli operai dell'Innse. Il governo è sfidato proprio su quel terreno mediatico sul quale ha sempre cercato ed ottenuto consenso. Si produce l'azione che "buca" i media, che non richiede neanche manifestazioni di massa, abbastanza snobbate nel recente passato da quasi tutte le reti televisive anche quando superavano dimensioni di grande rispetto. Si cerca visibilità nell'atto esemplare, che nel caso di lavoratori licenziati o precari assume, in questo momento, un valore simbolico di grande efficacia. Certamente questi presidi "creativi" non sostituiscono le tradizionali forme di lotta, come le manifestazioni che generalizzano e fanno da collante a soggettività e bisogni diversi, ma possono aiutarle.
Avevamo previsto l'avvio di una nuova fase conflittuale del mondo della conoscenza a settembre e proprio a partire dai precari della scuola. Previsione facile, visti i tagli feroci, specialmente nel sud, di docenti e personale tecnico amministrativo, che subiscono gli effetti di una politica dedita allo smantellamento dei diritti universali, come l'accesso alla cultura e all'istruzione, onde consegnare al mercato settori che finora ne sono rimasti estranei o poco contaminati.
Questo obiettivo, che nasce nel contesto internazionale della globalizzazione gestita dal Wto, trova nel nostro Paese un ostacolo particolare nel mondo della scuola, dove più di un milione di lavoratori e lavoratrici sono ancora oggettivamente legati al mandato sociale-costituzionale del diritto allo studio. A causa delle politiche di tutti gli ultimi governi, che non hanno fatto altro che tagliare la spesa per la cultura e l'istruzione, il precariato è aumentato a dismisura nelle scuole e nelle università. Chi ha operato su posti disponibili, nonostante non abbia ricevuto alcuna stabilizzazione, ha garantito per anni il funzionamento.
Attraverso l'elevamento a dismisura del numero degli alunni/e per classe, che comprometterà ulteriormente la qualità del processo formativo, sono stati tagliati nell'attuale anno scolastico migliaia di posti di lavoro, come in nessun altro settore produttivo, accampando la solita necessità di ridurre gli "sprechi". Per ora il governo, da una parte, usa cinicamente l'argomento secondo cui la scuola deve smettere di essere un ammortizzatore sociale per la disoccupazione intellettuale, dall'altra tenta di scaricare sulle regioni proprio quella funzione, non rinunciando alla logica dei tagliNon si dice che l'Italia è il fanalino di coda in Europa per quel che riguarda il numero dei laureati, tanto meno che quello che si deve rivedere del sistema non sono certo le già scarse risorse disponibili. Vi è semmai l'esigenza d'introdurre maggiore conoscenza in tutte le attività e di investire nei settori della produzione culturale, della tutela ambientale, della formazione dei docenti e di conseguenza di quella degli alunni/e. Vi è il disperato bisogno di una scuola più forte e presente, visti i disastri sociali che la società dei consumi e dei media, che ne sono i primi responsabili, hanno prodotto e stanno producendo. Per questo i precari della scuola stanno lottando; non solo per la loro occupazione, cosa giusta e santa, ma anche contro Gomorra, contro gli stupri "del branco", contro la violenza gratuita, che sembra quasi fine a se stessa, da parte di ragazzini che dovrebbero trovarsi a scuola, in un contesto sano di sane relazioni sociali, unica occasione per sfuggire alla devianza. E' necessario allora sostenere con tutte le nostre forze queste lotte, contribuire ad evitare pasticci e divisioni tra territori, tra precari, tra organizzazioni. Bisogna contrastare sistemazioni ambigue di singoli a scapito dei più, che nulla hanno a che fare con la tenuta della qualità della scuola. Da anni questo pezzo di società resiste alla deriva culturale e sociale che sta progressivamente imbarbarendo il nostro Paese. Un problema di tutti noi.


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