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Liberazione-La scuola pubblica come luogo di resistenza attiva

La scuola pubblica come luogo di resistenza attiva Loredana Fraleone Siamo rimasti sconcertati, ma bisogna ammetterlo anche un po' divertiti dall'affermazione del presidente del Consiglio che...

27/04/2005
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Liberazione

La scuola pubblica come luogo di resistenza attiva
Loredana Fraleone
Siamo rimasti sconcertati, ma bisogna ammetterlo anche un po' divertiti dall'affermazione del presidente del Consiglio che inserisce le scuole superiori tra i "poteri forti" di questo paese. Una volta tanto fa piacere essere presi un po' in considerazione ed essere individuati come quelli che "possono molto", una vera e propria gratificazione! Già, ma cosa possiamo noi che siamo all'ultimo gradino delle retribuzioni di tutti i lavoratori pubblici, continuamente delegittimati da famiglie apprensive e permissive, messi in mora da quella "cultura" dei consumi, che allontana sempre più la motivazione allo studio dei nostri studenti dalla curiosità e dalla conoscenza?
Forse le scuole pubbliche sono davvero ancora un baluardo, luoghi di resistenza attiva verso il tentativo di riservare "l'intelligenza" a pochissimi e assegnare alle masse solo conoscenze minime, finalizzate ad alcuni consumi e propedeutiche ad apprendimenti addestrativi per un mercato del lavoro sempre più povero.

L'approvazione definitiva, da parte del Consiglio dei ministri, dei primi due decreti di riforma della scuola superiore, è stata strombazzata dai media filogovernativi, come un atto innovativo e di grande progresso, dando come acquisito l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni. Su questo annuncio ci sono cascati in molti, persino tra gli addetti ai lavori, lì per lì, ma c'è una forza delle cose che vanifica gli sforzi anche del migliore tra i venditori di tappeti, come dimostrano i recenti risultati elettorali. Tuttavia bisognerebbe prendere in considerazione la possibilità di accusare questo governo anche di falso in atto pubblico. Basta spacciare per obbligo scolastico il "diritto dovere" fino a diciotto anni ed il gioco è fatto! Bisogna spiegare bene a tutti i disinformati ed ai distratti, su un tema che in Italia fatica ad essere considerato strategico, che in realtà viene accentuata la canalizzazione precoce. Questo ci riporta ai tempi in cui era ben definito, anche per legge, che i "migliori" erano destinati allo studio e gli altri al lavoro, intendendo per migliori i detentori di privilegi, di collocazione sociale forte.

La scelta precoce, tra la scuola vera e propria e varie forme di addestramento al lavoro, che può essere anche "sostituito" da lavoro vero e proprio, come sta denunciando Gianni Alasia a proposito degli apprendisti torinesi, rischia oltre tutto di essere accentuata dall'anticipazione dell'età per accedere alla prima elementare, previsto dal decreto già in atto sul primo ciclo, per cui un bambino o una bambina si può trovare a "scegliere" il proprio destino tra i 12 ed i 13 anni. Dalla fine della media il percorso si divarica tra i percorsi regionali finalizzati alla formazione professionale ed il sistema dei licei, che garantirebbe elementi di cultura generale, con possibilità d'accesso all'università e rimarrebbe di competenza dello stato, devolution permettendo.

Dunque bambini/e non "adatti" allo studio o meglio privi di mezzi, per proseguire un percorso d'istruzione lungo, avranno un percorso ben segnato da una brutale selezione di classe, che riporta questo paese indietro di decenni. Questo esito, che dobbiamo continuare a combattere, come l'insieme della riforma, dovrebbe far riflettere tutti coloro che hanno giocato e continuano a giocare con la commistione scuola/formazione professionale. L'aver sostenuto e praticato in alcune regioni l'integrazione tra scuola e formazione professionale, con la scusa di recuperare la dispersione scolastica, come se la mancanza di cultura si potesse compensare con l'acquisizione di manualità, ha consentito alla inamovibile Moratti di presentare scuola, formazione professionale e lavoro come fossero la stessa cosa, per cui se si va ad imparare come si tagliano i capelli è come conoscere le cause della seconda guerra mondiale.

Dunque non solo non si innalza l'obbligo scolastico, come tendenzialmente sta avvenendo nei paesi evoluti, ma lo si riduce ed anzi lo si sostituisce con il diritto/dovere, cioè con nessun vincolo.

Questo perché l'obbligo presuppone un vincolo anche per chi lo pone, che deve garantire il diritto allo studio, così la funzione dello Stato, in materia d'istruzione, si riduce agli otto anni previsti dalla Costituzione, sempre che ne rimanga qualche brandello. E' l'idea di società che sta dietro anche a queste sciagurate scelte sul sistema d'istruzione che ha determinato il terremoto elettorale di questi giorni.

Di straordinaria importanza sono perciò le iniziative di questi giorni, con l'occupazione simbolica di decine di scuole superiori, un fermento utilissimo per preparare la manifestazione nazionale a Roma del 14 maggio, promossa dal "Tavolo fermiamo la Moratti", in concomitanza con la settimana di mobilitazione europea per la difesa ed il rilancio dell'istruzione pubblica e gratuita ed è la prima occasione per manifestare in massa contro il nuovo logoro governo Berlusconi bis.

Ancora una volta, con una continuità quasi eroica, la scuola che esiste e che resiste si mette in moto per il futuro dei nostri giovani e di tutti noi. Che sia davvero un "potere forte"?


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