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Liberazione-La rivolta dei ceti medi

La rivolta dei ceti medi Lo sciopero totale, ieri, dei medici. Lo stato di agitazione dei piloti. L'annunciato - e quasi inedito - sciopero di marzo dei magistrati. La mobilitazione, all'inter...

11/02/2004
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Liberazione

La rivolta dei ceti medi
Lo sciopero totale, ieri, dei medici. Lo stato di agitazione dei piloti. L'annunciato - e quasi inedito - sciopero di marzo dei magistrati. La mobilitazione, all'interno del più vasto movimento della scuola, dei rettori e dei docenti universitari. Che cosa hanno in comune queste proteste, in tutta evidenza molto diversa l'una dall'altra? Che mettono in campo questioni di primaria grandezza sociale, culturale e civile: la salute, la cultura, la giustizia, e lo stato delle rispettive istituzioni. Che, pur innescate dall'urgenza di contratti scaduti e dalla rivendicazione di nuovi accordi contrattuali, tutte hanno un forte impianto "categoriale", vale a dire fortemente connesso alla specificità del proprio lavoro e dell'organizzazione del medesimo. Che tutte o quasi, dunque, oltrepassano l'ambito strettamente sindacale. E che soprattutto concernono, come diretti protagonisti, ceti sociali che - un tempo - avremmo definito "medio-alti", dal punto di vista del reddito o dello status sociale o del ruolo rivestito. E' una novità significativa, nell'attuale panorama della società italiana. Non per caso, il recentissimo rapporto Eurispes fotografa soprattutto il malessere di quel "terzo" della società italiana che fino a ieri godeva di una condizione di solida "inclusione", se non di privilegio, e che oggi lamenta una perdita progressiva di funzione, oltre che un rischio incipiente di proletarizzazione. Non per caso, era stato Paul Ginsborg, ispiratore intellettuale del movimento girotondino, a parlare di "ceti medi riflessivi". Corpi intermedi costitutivi della "società civile", altamente professionalizzati e qualificati. "Intellettuali di massa", potremmo dire noi, che svolgono una professione intellettuale strettamente legata ai bisogni sociali essenziali, e a quelli "maturi" di una società capitalistica sviluppata come la nostra.

Naturalmente, siamo consapevoli delle differenze abissali (anche nello stipendio) che passano tra un Pm e un professore. E del contesto politico che determina, per esempio, la rivolta dei magistrati: se è vero, come è vero, che il governo Berlusconi (e segnatamente il premier) ha dichiarato una vera e propria guerra contro uno dei principali poteri dello Stato (la Magistratura, appunto) per smantellarne l'autonomia e perfino l'indipendenza, non può che determinarsi una risposta di pari asprezza, ovvero un conflitto politico e istituzionale di grande portata, oltre che di serie dimensioni. A sua volta, per citare un altro esempio, la lotta della scuola è mossa, prima di tutto, dagli sciagurati (e pseudotecnocratici) progetti di Letizia Moratti, che si muove con la leggerezza di un carrarmato sia contro chi gestisce e trasmette il sapere, sia contro quel manipolo eroico che tenta, ancora, di fare ricerca scientifica in Italia. Quanto alla salute della "Organizzazione della salute", sono sotto gli occhi di tutti gli effetti nefasti di anni di ridimensionamento delle risorse pubbliche, della "aziendalizzazione" di Asl e ospedali, di dominio dei manager. Anche in questa ottica, però, emergono convergenze e analogie di tipo nuovo.

Il fatto è che medici, magistrati e docenti, partendo ciascuno dalla propria specifica condizione e ruolo, mettono al centro della loro protesta il funzionamento generale dell'istituzione della quale costituiscono, in realtà, l'architrave culturale e organizzativo. Non è una novità assoluta: nel vivo degli anni '70, la tematica della "critica del ruolo" (che produsse associazioni quali "Magistratura democratica" o la nascita del sindacalismo degli insegnanti) avanzò nella sinistra - e nel popolo di sinistra - con una rilevante capacità di elaborazione, anche grazie al rapporto privilegiato con la lotta operaia. Dopo anni di rimozione e di immobilismo, questa tensione critica si riaffaccia, giocoforza, con caratteri nuovi. Oggi, diversamente dal passato, la crisi sociale mette a repentaglio molte posizioni solide o consolidate. La destra tende, per sua vocazione profonda, a cancellare tutte le aggregazioni che, in un modo o nell'altro, con risultati più o meno efficaci, svolgono una funzione riconosciuta di cemento sociale, insomma di antidoto alla disgregazione. E la politica vive, a sua volta, una difficoltà di fondo - un'incapacità radicale di rapportarsi ai problemi reali della vita sociale e quotidiana. Medici, magistrati e professori, se possiamo prendere a prestito dal movimento femminista una delle sue più note espressioni, "partono da sé", riempiono un vuoto che rischia di farsi drammatico, tendono a riscoprirsi come soggetti sociali autonomi, allo stesso tempo sindacali e politici
Ovvio, questa speciale rivolta dei ceti medi - tacciata illegittimamente come "corporativa" - interroga soprattutto noi, sinistra di trasformazione.


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