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Liberazione: «L’Unione deve ricostruire la cultura politica»

Intervista al sociologo Luciano Gallino sul voto del Nord Est

15/04/2006
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Liberazione

Andrea Milluzzi
Scriveva ieri su Liberazione Osvaldo Squassina: «Come mai chi vive di una pensione al minimo, operai che hanno salari inferiori a 1000 euro mensili, laureati e diplomati precari votano per il centrodestra?», mentre Massimo Cacciari al Quotidiano nazionale dichiarava: «Quel mondo (l’imprenditoria del Nord-Est, Ndr) chiede riforme concrete, me se noi continuiamo a non ascoltarlo non possiamo stupirci se poi si accontentano di difendersi la “roba” e votano Berlusconi». L’Unione stretta fra l’incudine dei lavoratori e il martello degli imprenditori ha perso il suo appeal in quello che una volta era il motore del Paese, il Nord? Liberazione lo ha chiesto a Luciano Gallino, professore di sociologia all’Università di Torino.

Lei concorda con queste letture?

Beh, per fare un’analisi articolata ci vorrebbero più dati e più tempo. Che il Nord est voti a destra non è una sorpresa perché più o meno lo hanno sempre fatto. Credo che là sia mancato lo sviluppo di una cultura politica che sappia coniugare interessi materiali e interessi ideali, come si usava dire un tempo. E’ un po’ un discorso di classe: i piccoli imprenditori, gli artigiani, quelli che hanno un’impresa con pochissimi addetti hanno quel tanto di risorse che gli bastano per farsi una buona assicurazione sanitaria, pagare la scuola privata ai figli e altre cose del genere. A queste persone i prelevi obbligatori non sembrano motivati, perché come loro hanno le risorse per far fronte ai propri bisogni non vedono perché gli altri non potrebbero fare lo stesso. Prima che si rendano conto che le infrastrutture, la formazione e molte altre cose le può pagare soltanto lo Stato, occorre un passaggio dagli interessi materiali a quelli ideali che si fa solo sulla base di una diffusa cultura politica che in alcune zone non c’è mai stata e che in altre si è persa con il tempo.

A creare queste condizioni devono essere i partiti, giusto? E’ qua che è deve recuperare terreno la sinistra?

Una volta c’erano i partiti che pensavano a questo sì, ma in questi ultimi 10-12 anni hanno perso molto del loro mordente e adesso c’è un vuoto nella riproduzione socioculturale di una cultura politica che sappia collegare gli interessi ideali (senso di solidarietà, di collettività...) ai propri interessi materiali. Poi, certamente, in questi cinque anni c’è stata un’operazione ideologica, un martellamento delle destre per certi aspetti senza precedenti, che li hanno separati, in modo che larghi strati sociali e larghe quote di classi sociali vedessero solo gli interessi materiali e quelli ideali li perdessero di vista. Adesso la sinistra deve giocare un ruolo, altrimenti si regredisce su una cultura molto rozza come quella che ci siamo tenuti per questi cinque anni.

Questo ruolo implica di seguire gli imprenditori sul loro terreno?

No, la sinistra dovrebbe cercare di recuperare canali di costruzione e trasmissione di una cultura politica. Se pensa di seguire soltanto gli interessi materiali del piccolo imprenditore è perduta.

Però questi (il fare sistema, la partecipazione...) sono stati temi dominanti della campagna di Prodi, che evidentemente nel Nord-est non hanno fatto breccia...

No, non sono passati minimamente, un po’ perché, come dicevo, questi anni di copertura ideologica hanno lasciato il segno e distrutto quei pochi canali che prima c’erano, e un po’ perché non sono gli ultimi due mesi che permettono di recuperare questi passaggi. Ci vogliono anni.

Molte delle industrie, soprattutto le più piccole, stanno accusando la crisi economica dell’Italia e il Nord-est ha perso molto del suo potere industriale. Ma forse non hanno dato la colpa al governo...

Anche la crisi economica ha rafforzato il peso degli interessi materiali nell’orizzonte del piccolo imprenditore. Se sei un medio-grande imprenditore magari puoi non limitarti al tuo particolare, se sei piccolo, e se soprattutto la congiuntura economica e la globalizzazione ti stringono, ripieghi sempre più sulla difensiva.

E fra gli operai? Ha fatto di nuovo breccia la promessa del “miracolo italiano”?

Vorrei vedere i dati, sono sicuro che nel 2001 era andata molto peggio. Allora gli operai Fiat di Mirafiori votarono a destra, stavolta il Piemonte è nettamente diviso in due: a Torino e provincia, che è la zona più industrializzata, l’Unione ha preso il 55%, nelle zone più periferiche, tipo Alessandria, il rapporto è inverso. No, il radicamento del berlusconismo non c’è stato.

L’Unione avrà difficoltà ad affrontare il nodo su come conciliare il rapporto con i lavoratori e quello con le imprese?

E’ un po’ strana questa domanda che circola a sinistra. L’unione ha un programma di 281 pagine che è un contratto. Ed è così, più che come strumento di comunicazione, che è stato utilizzato. Pochissimi lo hanno capito, anche perché forse è stato commesso l’errore di non riassumerlo e diffonderlo come un Bignami. Ma come punto di incontro - non compromesso - fra forze e culture politiche molto differenti a me è parso un fior di contratto. Adesso va onorato e mi pare che negli ultimi mesi sia andata molto bene, parlavano tutti allo stesso modo. E’ una buona base di ragionamento e di discussione con imprenditori, manager, docenti, operai e impiegati ed è da lì che bisogna partire. Sarebbe un guaio lasciare quel sorprendente documento politico per inventarsi qualcos’altro visto che sul piano elettorale non ha funzionato.

Quindi niente grosse koalition...

Ma per l’amor del cielo, ma come si fa? La coalizione si fa fra partiti che condividono valori, non fra due forze radicalmente opposte come queste due. E comunque: lasciano un paese disastrato e poi vogliamo pure allearci. Ma perché mai?


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