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Liberazione: «L’insicurezza accomuna tutti sia in fabbrica che a scuola»

Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese

23/08/2006
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Liberazione

Andrea Milluzzi
Pubblico impiego batte industria nella corsa alla precarietà. Che ne pensi?
Credo che il dato andrebbe disaggregato, ma una cosa è certa: la precarietà è brutta sempre, anche se le condizioni specifiche possono essere diverse. Se nell’industria è precario l’8% dei lavoratori, è certo che anche il restante 92% si sente insicuro. Fra delocalizzazioni, cassa integrazione, passaggi di proprietà, ci sono casi di lavoratori che hanno cambiato contratto 4 o 5 volte in 10 anni. Ci sono poi quelle imprese che affidano la manutenzione o la logistica a ditte esterne e là succede di tutto, soprattutto sulla pelle di giovani, donne e immigrati. La condizione di insicurezza è la più insopportabile e accomuna tutti i lavoratori. Non credo ci sia molta differenza fra l’impresa privata e quella pubblica in questo. Poi la differenza la fa il lavoro, ma quei due punti percentuali di differenza scritti dal Censis sono bugiardi, non quantitativamente ma qualitativamente.

Però c’è differenza nel lavorare in fabbrica con il contratto fisso o fare l’insegnante precario a vita...

Beh, è diverso se sei precario e fai un brutto lavoro o se sei precario facendo il lavoro che ti piace. Certo, poi ci sono alcuni lavori più pesanti e nocivi di altri, ma questo è sia nel pubblico che nel privato. Anche se lavori nell’industria privata e sai che prima o poi sarai confermato, non sei mai sicuro di quello che ti aspetta il giorno successivo, non puoi programmarti il futuro. Non è un caso che l’attività del sindacato, quando non ci sono crisi in atto, è proprio quella di lottare per far confermare i precari che ci sono dentro una fabbrica.

E’ finito il mito del posto sicuro?

Penso che quella concezione sia finita negli anni ’80, ci sono state delle riserve dove è durata di più, ma l’inizio della fine del posto sicuro è stata in quel periodo. Negli anni successivi è stata tutta una corsa a risparmiare, a comprimere e per molti giovani è stata una corsa ad handicap, un gioco dell’oca in cui spesso devi ricominciare da capo. Questo riguarda i giovani, i cinquantenni che sono nel pubblico impiego sono ancora in una condizione di privilegio rispetto ai più giovani, mentre nell’industria no.

C’è anche una mortificazione delle professionalità? Cosa consiglieresti a tuo figlio nel momento in cui sceglie la sua strada?

Molti di questi ragazzi precari sono diplomati e laureati, così all’insicurezza si aggiunge la frustrazione per essere stati per anni in attesa e a studiare e poi scoprire che non servi. Tutti vorrebbero per i propri figli un lavoro che dia stabilità economica e possibilità di realizzarsi. E questo è possibile sia nel pubblico che nel privato, non lo nego. Il problema però è trovare il modo di rendere compatibili le esigenze dei lavoratori con l’attuale modello economico. Finché non si darà di nuovo valore al lavoro e ai lavoratori diventa difficile pensare che ci sia un lavoro migliore di un altro, semmai c’è da chiedersi qual è il meno peggio. Ma io vorrei che per mio figlio ci fossero delle alternative fra cui scegliere l’opzione migliore, non un’unica scelta che lo condanni alla precarietà e all’insicurezza.


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