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Liberazione: Il miraggio della meritocrazia

Il paradosso dell'esame e la qualità dell'insegnamento

28/10/2007
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Liberazione

Tiziano Tussi*

Non passa settimana, a volte giorno, che qualcuno, sulla stampa e nelle discussioni pubbliche e private, ci dica quale è il punto critico di ogni lavoro. Quando poi si tratta di scuola e /o di pubblico impiego l'insistenza è davvero troppa. La meritocrazia diventa parola chiave, apre ogni porta. Peccato che in Italia non vi sia una gerarchia meritocratica, peccato che il merito non sia al primo posto nella nostra palestra di lavoro scolastico giornaliero.
Ci si lamenta che il nuovo contratto firmato dopo la sua doppia scadenza non abbia innescato un meccanismo neritocratico per gli insegnanti, i bidelli, tutti quanti. In altre paesi c'è. Da noi no e si vede il risultato. Studenti ignoranti e professori che lavorano allo stesso modo, con ignoranza. Ogni sondaggio, indagine, ricerca lo attesta. Ma a questo punto le analisi dei grandi innovatori si fermano. Ma è questo il punto. Chi deve giudicare? Chi è ora nelle condizioni di poterlo fare senza travisamenti, con competenza, rispetto ad alti fini sociali? La classe dirigente, gli alti burocratici di stato, e gli strati intermedi non danno per nulla buna prova di sé. A parte gli stipendi da nababbi che si sono ritagliati nel tempo, più che pensare a tagliare posti di lavoro, a risparmiare, e, nel privato, a delocalizzare, a fondere aziende, a chiedere soldi allo stato, non sanno fare. Gli esempi sono talmente tanti che riportare qualche caso pare un torto a tutti i non menzionati. Ma per tutti i numerosi rimandi nel libro di Stella e Rizzo, la Casta, le denunce di piazza di Grillo et similia. E basta navigare un poco in internet per leggere montagne di articoli a riguardo. I dirigenti sembrano avere come capacità, al fine, quella di guadagnare anche trenta volte al giorno lo stipendio di un lavoratore comune. Prova ne sia anche un altro sintomo: la mafia risulta essere la maggiore azienda italiana. Insomma chi deve giudicare? Quale professionalità, serietà e decenza sociale hanno i papali giudicanti?
«La disputa sulla realtà o non realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica». Questa frase di Marx, tratta dalla parte finale della seconda Tesi su Feuerbach ci dice che non basta proporre una condizione ottimale di applicazione occorre capire se in pratica ciò sia possibile. E non lo è.
Sarebbe perciò interessante che i paludati censori ci spiegassero come si potrebbe fare per introdurre in modo corretto tale meritocrazia nella nostra vita lavorativa. Gli insegnanti dovrebbero essere giudicati dall'amministrazione. E vediamo come il ministro Fioroni si sta comportando con le questioni più facilmente risolvibili, quali un rinnovo contrattuale. Certo si può firmare con ritardo un contratto, ma non doppiando il termine del successivo. Oppure per gli esami di riparazione a settembre reintrodotti lasciando lì accanto i debiti scolastici, accelerati nella loro applicazione, fermati dal Senato: pasticcio. Se questi sono segnali chiari di una situazione confusa per obiettivi alla portata pensiamo cosa potrebbe essere una rivoluzione organizzativa. Quindi l'amministrazione dovrebbe fare leva su se stessa per poter diventare ciò che non è. Quindi chi dovrebbe giudicare il merito? Gli studenti? I genitori? Tutte possibilità da inventarsi. Sostenere il merito e poi passare ad altro, ad incassare il compenso per l'articolo al Corriere della Sera a Repubblica, non sposta di un millimetro la questione.
«La dottrina materialistica che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dall'educazione, e che pertanto uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore deve essere educato». L'inizio della terza Tesi su Feuerbach ci dice che occorre fare scelte di fondo, educare gli educatori. E' l'uomo, l'insegnante in questo caso, che deve essere educato. Non basta affermare che deve cambiare, che deve esser capace. Occorre dargli la possibilità - soldi - e motivi - importanza sociale - di diventarlo. Un tempo si sarebbe chiamata la dignità del lavoro. Concetto desueto?

*Insegnante


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