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Liberazione-Il bene comune della conoscenza

Il bene comune della conoscenza Il tema dei beni comuni è terreno da cui definire una nuova idea di cittadinanza, di democrazia e di universalità dei diritti, a partire dalla sottrazione di ...

06/02/2005
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Liberazione

Il bene comune della conoscenza
Il tema dei beni comuni è terreno da cui definire una nuova idea di cittadinanza, di democrazia e di universalità dei diritti, a partire dalla sottrazione di relazioni e di attività al mercato. Un principio da immettere nella costituzione formale e materiale del paese e dell'Europa. Da un lato l'acqua e le risorse fondamentali per la sopravvivenza di donne e uomini, in nome delle quali si scatenano le guerre della globalizzazione, dall'altra la conoscenza, nuova metafora dei processi di esclusione sociale.
E qui si innesta tutto il discorso sull'abrogazione della riforma Moratti, per delineare una diversa prospettiva e un altro modello di istruzione fuori dal paradigma della competitività. Scuola, università, ricerca, cultura, informazione, costituiscono un bene comune, ovvero ciò che produciamo tutti insieme, ciò che appartiene a tutti noi, ciò che nasce, vive, nella nostra quotidiana cooperazione. Il tempo trascorso a studiare, ricercare, insegnare, sperimentare, è quindi parte della nostra intelligenza collettiva. La questione dell'accesso, della produzione e della circolazione dei beni comuni è questione pubblica per eccellenza. La difesa della finalità extraeconomica della conoscenza è centrale, e per fare ciò è necessario che un programma di alternativa valorizzi quegli elementi diseconomici ma fortemente sociali, che caratterizzano e determinano la condizione stessa di esistenza e sviluppo della cultura. Da qui per noi la costruzione di un nuovo modello di cittadinanza.

Ovviamente non vi è solo la critica alle condizioni di lavoro sempre più precarie che il ciclo liberista ha determinato, ma anche l'accesso e la libera circolazione dei saperi, la formazione dei contenuti, la libertà di insegnamento, la partecipazione e la rappresentanza sindacale, gli spazi. Le politiche dei governi sono infarcite di mere logiche di contabilità e di ideologia imprenditoriale, come se l'investimento pubblico sulla scuola, sull'università, sulla cultura fosse un mero capitolo di bilancio da finalizzare esclusivamente al lavoro produttivo, penalizzando una conoscenza che non ha apparenti finalità immediate. Tagli e precariato come quelli che si sono determinati scandalosamente in questi anni di centrodestra, sono funzionali ad un processo di liberalizzazione che abbraccia l'Europa, e che mentre opera una selezione sui saperi, seleziona anche gli individui che hanno accesso all'istruzione. E' un apartheid strisciante verso un modello di società classista e autoritaria. Di questo ci parlano le riforme Moratti di questi anni e le politiche di censura e di controllo politico esercitate sulla cultura. Ma c'è di più, purtroppo. Viviamo in un un'epoca in cui nel giro di pochissimi anni, non vi sarà più scoperta che non si debba immediatamente assimilare a una appropriazione privata, né innovazione di una scoperta precedente che non si configuri come licenza. Di questo ci parlano anche le direttive europee approvate in questi anni nel campo della proprietà intellettuale. L'Università si sta trasformando in "impresa della conoscenza", realtà direttamente produttiva attraverso l'uso economico dei brevetti. Ecco perché i ricercatori serve tenerli maggiormente subordinati agli interessi delle imprese e quindi precari. Le leggi e le controriforme che oggi determinano le recinzioni del sapere, dell'informazione e della scienza, sono il frutto di precise convenzioni internazionali stipulate da organismi sopranazionali che definiscono le regole dell'economia globalizzata e dei diritti di proprietà che la caratterizzano. La nostra critica radicale alle riforme Moratti e la stessa che rivolgiamo agli accordi GATT stipulati nell'ambito del Wto, e oggi con la battaglia contro la direttiva Bolkestein, che stabiliscono la trasformazione dell'istruzione da diritto a merce da scambiare nel mercato globale. Non siamo più da soli, a dirlo. Ma come si può evincere a partire dai nostri territori, questo è oggi il terreno su cui convergono ampi settori del mondo sindacale, associazioni, collettivi studenteschi, forze del centrosinistra, e su cui la sinistra di alternativa può incidere.

E' necessario rompere con le politiche di Berlusconi e con il berlusconismo, introducendo normative che difendano l'istruzione quale bene comune, per l'affermazione di nuovi processi democratici ovvero di empowerment, autogoverno, che agevolino la partecipazione delle comunità. Cancellare le riforme Moratti significa determinare una controtendenza radicale delle politiche pubbliche sull'istruzione, una alterità che si fonda sulla natura sociale e quindi pubblica del sapere che viene prodotto, esercitato in tutti i luoghi della formazione, dalla scuola materna all'Università dove il paradigma della competitività e dell'individualismo prova a permeare il campo dei saperi. Significa sottrarre l'istruzione di ogni ordine e grado dagli interessi del mercato e dalla sua canalizzazione in forme sempre più precoci di apprendistato. Recuperare principi costituzionali e finalità per la scuola statale (cittadinanza, gratuità, laicità innanzitutto), puntare alla qualità e alla possibilità dei livelli più alti di istruzione per tutti. La difesa dei beni comuni ci impone anche un ripensamento delle normative sulla proprietà intellettuale recuperando il primato dell'interesse sociale e liberando spazi di produzione e di libera circolazione dal dominio delle major e del profitto. Perché c'è un interesse (e un bene) collettivo che deve sovrastare quello del profitto e dell'accesso di pochi, (anche il diritto di autore non può essere eterno e soprattutto non devono pagarlo le scuole e le università pubbliche), e perché l'Iva sui prodotti di interesse culturale venga abbattuta, perché l'opensource informatico deve essere considerato uno spazi pubblico comunitario, perché al copyright e ai brevetti si può e si deve contrapporre un nuovo pubblico dominio della conoscenza.

Titti de Simone


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