Liberazione-Epifani: il movimento è già contro il terrorismo
Il segretario Cgil interviene al congresso Uds. Applausi dalla platea studentesca da sempre schierata per la pace Epifani: il movimento è già contro il terrorismo Com'era prevedibile, i...
Il segretario Cgil interviene al congresso Uds. Applausi dalla platea studentesca da sempre schierata per la pace
Epifani: il movimento è già contro il terrorismo
Com'era prevedibile, il barbarico attentato di Madrid - un evento che si candida, certo, ad essere "storico" per ferocia, dimensioni e segnale politico per l'Europa - si riflette sulla politica, e segnatamente sulla politica delle sinistre. Ed ecco la proposta, avanzata dall'associazione dei sindaci e rilanciata da Piero Fassino, di una manifestazione unitaria di tutte le forze politiche, di governo e di opposizione, contro il terrorismo. Un'idea, in sé e per sé, legittima, ancorché sia altrettanto legittimo diffidare di ogni ipotesi di "unità nazionale": la quale o è ispirata da minimi comun denominatori vaghissimi o, peggio, finisce con l'accreditare un "unico" punto di vista tra destre e sinistre, tra chi governa e chi si oppone, proprio sulle questioni di fondo - e perfino sulle dscriminanti d'identità. Il problema, tuttavia, è ben altro. E' la tentazione che si affaccia nell'Ulivo - ovvero nella sua maggioranza - di rileggere la fase attuale sotto la categoria della "lotta al terrorismo" epurando dall'iniziativa e perfino dall'analisi politica la lotta contro la guerra, vera madre e nutrice dell'insorgenza terroristica. Di più. E' la tentazione di esorcizzarla, la guerra, quasi separandola dal contesto della crisi mondiale, quasi riducendola a un dato "endemicamente" acquisito della realtà. L'ha scritto ieri, sulla Stampa, Federico Geremicca: dopo l'11 marzo, in sostanza, il pacifismo è diventato "fuori corso". Lo scrive, ogni giorno, il Riformista: in un'Europa che rischia di prendere il posto degli Usa, come bersaglio del terrore di al Qaeda, come si fa a scendere in piazza "in difesa della resistenza irakena"? In breve. Nell'identità "riformista" in fieri, col concorso e la pressione di un'opinione mediatica diffusa (con buona pace di Galli Della Loggia), si fa sempre più forte l'attrazione moderata, che cammina quasi di pari passo alla prospettiva della riconquista del Governo. Nella Margherita questa appare la cifra dominante del gruppo dirigente e di una larga parte del Partito (anche se la tranquillità del congresso riminese potrebbe rivelarsi ingannatoria). Nei Ds, invece, si manifesta un fenomeno di "resistenza" (sostantivo alquanto riduttivo) che è molto più profondo delle apparenze.
Guardiamo a quello che è accaduto a Montecitorio proprio qualche giorno fa: un evento politico nient'affatto ordinario, sottaciuto, un po' vergognosamente, dalla gran parte dei media. Questo evento è il No espresso da quasi settanta deputati al rifinanziamento della missione italiana in Iraq, una cospicua parte dei quali espressi dalle file diessine. Un atto di disubbidienza, per questi ultimi, nei confronti delle direttive del proprio gruppo che si era manifestato in altre circostanze, ma che questa volta ha assunto un carattere ben più netto, determinato e significativo, per qualità e quantità. Per la prima volta, la radicalità del rifiuto della guerra e dell'opzione pacifista non ha coinvolto soltanto l'area del Correntone, ma alcuni singoli esponenti della maggioranza diessina - uno dei quali, Mauro Zani, rappresenta a sua volta una storia e una cultura radicate e importanti come quella dell'Emilia-Romagna. Nell'insieme dei passaggi parlamentari tra Camera e Senato, la battaglia della sinistra ds ha compiuto insomma un salto politico, identificandosi come un soggetto capace di agire come tale e a pieno titolo, nient'affatto cioè come una pattuglia destinata a un eterno e sfinente gioco di rimessa. Ciò è accaduto non per l'affacciarsi di tendenze scissionistiche: al contrario e all'opposto, proprio perché è risultata palese la sua connessione con gli umori profondi del popolo diessino, oltre che del movimento pacifista. Gli apologeti del neoriformismo di governo potranno ironizzare quanto vorranno sulla "arretratezza" del popolo di sinistra, sulla persistenza al suo interno di larghe sacche di "antiamericanismo" o sull'assenza di una "autentica cultura di Governo": nessuno può dubitare, però, che quei senatori e quei deputati ds che hanno rifiutato l'ipocrisia dell'astensione (o della non partecipazione al voto) sono più in sintonia con la gente della Quercia di quanto non lo siano Fassino e D'Alema. Del resto, la discussione prima, e la decisione poi, sono state tutto fuorchè facili o lineari, e hanno prodotto un'ampia sequenza di "crisi di coscienza".
Se è così, non è arbitrario ritenere che, lungi dal manifestarsi come processo chiuso e conchiuso, la fisionomia politica e ideale dei "rifomisti" è oggi caratterizzata da una dialettica vera, da un conflitto di fondo che coinvolge scelte strategiche essenziali: come, appunto, quelle sulla guerra e sulla pace, sulla questione sociale, sulla risoluta fuoriuscita dall'egemonia neoliberista. Da un lato, una maggioranza tentata (non senza contraddizioni) da un neomoderatismo che scivola verso orizzonti neocentristi, dall'altro lato una corposa minoranza che agisce nella chiave della costruzione di una sinistra "senza se e senza ma". E' una dialettica importante anche perché nient'affatto autoreferenziale: ognuno sceglie i propri alleati e interlocutori, ognuno tende ad affermare ed allargare la propria egemonia. Ancora più importante è il fatto che, alla fin fine, la definizione della soggettività "riformista" dovrà fare i conti con ciò che oggi la sinistra ds è e rappresenta. Fino in fondo.
Rina Gagliardi