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Liberazione-Così la Moratti vuole affidare la ricerca al grande capitale

Così la Moratti vuole affidare la ricerca al grande capitale Caro direttore, il disegno di legge Moratti-De Maio sull'ordinamento della carriera dei docenti universitari ha aperto recentement...

18/06/2004
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Liberazione

Così la Moratti vuole affidare la ricerca al grande capitale
Caro direttore, il disegno di legge Moratti-De Maio sull'ordinamento della carriera dei docenti universitari ha aperto recentemente una stagione di lotta all'interno degli atenei italiani molto significativa.
Il processo di precarizzazione totale del ricercatore ha oggi, nel panorama del nostro paese una funzione ben precisa: quella di rendere particolarmente appetibile la ricerca scientifica al grande capitale italiano. Quello stesso capitale che storicamente non ha mai investito in ricerca di base o applicata. L'Italia destina infatti appena lo 0.9% del PIL in ricerca, il capitale privato investito in ricerca è inesistente. Nei più importanti paesi Europei, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, si viaggia tranquillamente sul 2.5% del PIL con una ben precisa proporzione tra fondi pubblici e privati. L'obiettivo per l'Europa è raggiungere il 3% del PIL entro il 2010, quota che per l'Italia è assolutamente irraggiungibile. Tali cifre nascondono un aspetto cardine del cosiddetto declino industriale italiano, che ha radici molto lontane, ma riconducibili ad una rinuncia di fondo verso l'innovazione e la ricerca.

L'Italia è rimasta fuori da questi processi ed ha accumulato ritardi abissali. L'economia e il capitalismo italiano a partire dagli anni settanta si sono tradizionalmente basati sul fatto che la lira era una moneta debole, debolezza che, accompagnata a svalutazioni continue, permetteva un minimo di competitività dei prodotti italiani, sui mercati internazionali, non perché tecnologicamente ben definiti ma perché meno costosi rispetti ai paesi dalle monete forti, e perché basati su una continua riduzione del costo del lavoro. Conseguenza di questi processi è stato il mettere in competizione il lavoratore italiano con il lavoratore dei paesi emergenti dell'Asia come la Cina, la Corea, la Thailandia e la perdita della grande industria in settori strategici come il settore chimico (ricordate Gardini?), l'informatica (ricordate De Benedetti?), e in parte il settore dell'auto. Nel momento in cui l'Italia è entrata a pieno titolo nell'area dell'euro, moneta forte, le politiche economiche basate sulla lira debole si sono dissolte come neve al sole. E soprattutto non c'è stata alcuna corsa al riparo, vale a dire un forte finanziamento di ricerca e innovazione, né da parte dei governi del Centro-Sinistra, né tanto meno da parte del Governo Berlusconi, incapace per natura e mentalità di promuovere un massiccio finanziamento pubblico volto a rovesciare un atteggiamento rinunciatario verso la ricerca che dura da decenni se non da secoli in Italia.

Ecco che in questo contesto si inquadra il disegno Moratti-De Maio, vale a dire svendere in patrimonio pubblico di saperi e formazione dell'Università e dei Centri di Ricerca ai privati, privati disposti a beneficiare di ricerca e innovazione solo se questa è a buon mercato. Per ottenere questo risultato, il Moratti e De Maio hanno pensato bene di accentuare i processi di precarizzazione di chi la ricerca la fa con passione e con libertà, libertà data dalla possibilità di gestire fondi di ricerca, possibilità quest'ultima quasi completamente preclusa ai giovani ricercatori. In un sistema come il nostro, con l'approvazione del disegno di legge Moratti-De Maio, sarebbero veramente pochi color che accetterebbero di fare il ricercatore cocco per dieci anni senza avere alcuna garanzia per il proprio futuro e vedremmo, come è stato giustamente segnalato, una fuga verso altri paesi dei ricercatori, in cerca di condizioni migliori con cui fare ricerca e stipendi adeguati.

Nello stesso tempo, la situazione attuale era ed è insostenibile con circa cinquantamila precari tra Università e CNR, e, per certi aspetti, è sorprendente che ci sia voluto il disegno di legge Moratti-De Maio per scatenare la protesta. Attualmente, il ricercatore precario è un uomo o una donna, generalmente sui trent'anni, ma si arriva tranquillamente a quarant'anni, che ha ricevuto una formazione altamente qualificata e porta avanti filoni di ricerca con stipendi che non superano, nel migliore dei casi, i mille euro al mese.

Mario D'Acunto
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