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Liberazione-Addio al tempo pieno, il sapere si dovrà pagare. Ecco la scuola riscritta dal padrone

Addio al tempo pieno, il sapere si dovrà pagare. Ecco la scuola riscritta dal padrone Dal centrosinistra al centrodestra, la riforma dei cicli scolastici rievoca la più usata delle metafore: qu...

06/12/2001
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Liberazione

Addio al tempo pieno, il sapere si dovrà pagare. Ecco la scuola riscritta dal padrone

Dal centrosinistra al centrodestra, la riforma dei cicli scolastici rievoca la più usata delle metafore: quella del passaggio dalla padella alla brace. Possiamo ragionevolmente sperare che anche quest'ipotesi di riforma, del governo Berlusconi, come già è accaduto a quella del centrosinistra, trovi un'opposizione larga e qualificata che ne metta in discussione l'impianto e la definizione. Lo speriamo perché ancora più regressiva, e quindi provocatoria, nella sua palese definizione classista, e neanche rispondente, nonostante le dichiarazioni, alle sfide della globalizzazione e dei mercati. Guida Maria Barilla, sul giornale della Confindustria, Il Sole 24 ore, si pronuncia decisamente contro "qualunque ipotesi di scelta precoce, fatta a 11 o 14 anni del canale della formazione professionale, che come in tutt'Europa dovrebbe essere un'opzione che si fa non prima dei 16 anni", richiedendo, fino a quest'età una solida e critica preparazione di base. La commissione Bertagna, che ha compilato l'ipotesi di riforma, si è molto preoccupata di dare un'immagine 'progressista' del proprio lavoro, corredato oppurtunamente da una sfilza di affermazioni tratte dalla Costituzione, dalle premesse a riforme di alto profilo democratico, e persino da citazioni di Don Milani. Ma già a un primo esame del testo, si nota la durezza dell'attacco: taglio drastico del modulo di tre insegnanti alle elementari e delle ore di lezione (da 12.700 a 9. 900 dalla prima elementare all'ultimo superiore con un taglio di 200mila docenti in pochi anni), cancellazione del tempo pieno (chi vorrà le 40 ore dovrà pagarle), decurtazione di un anno per tutti gli indirizzi delle superiori. La scuola di base viene colpita con una canalizzazione persino più precoce di quella introdotta dalla legge 30/2000 (il riordino dei cicli), perché alla fine del terzo biennio, quello a cavallo della scuola elementare e media, si "offre la possibilità" di scegliere moduli didattici specifici ed esperienze formative, cioè indirizzi già vincolanti rispetto alle scelte successive. Non a caso l'obbligo scolastico scende ai 14 anni, per seppellire definitivamente l'ipotesi di un biennio superiore unico, cioè di un ampliamento dell'accesso alla cultura generale per tutti. Lo stesso obbligo formativo fino ai diciotto anni, attualmente in vigore, è ben altra cosa da quello scolastico, perché spendibile anche nella formazione professionale e/o nell'apprendistato e può essere anticipato ed abbreviato grazie ad un credito accumulato, niente di meno, che dalla frequenza alla scuola d'infanzia. Crediti e debiti diventano la moneta corrente del sistema integrato scuola-formazione/pubblico-privato, che si aggiunge a quella sonante, che farà acquistare moduli vari di competenze specifiche. Dunque istituti professionali regionalizzati e licei ridotti di un anno e di ore per fare spazio sempre più a discipline addestrative ed acquistabili sul mercato della formazione da enti privati, con la compromissione del valore legale del titolo di studio, perché l'accesso al mondo del lavoro passerebbe ormai prevalentemente per le qualifiche professionali e/o i diplomi di laurea. Tanto poi per mantenere il carattere confessional/confindustriale del processo di riforma che ha interessato la nostra scuola negli ultimi anni, viene recuperato nel sistema di valutazione il comportamento, anzi, si precisa, 'la condotta', come uno dei due debiti che può determinare la bocciatura. Basterebbe questa sottolineatura del ripristinato valore della condotta, nel testo Bertagna, per rivelarne anche il suo carattere neoautoritario e neogerarchico oltre che funzionale allo smantellamento di un sistema di formazione culturale fondato sui principi costituzionali, tesi alla promozione della persona a tutto tondo. L'ipotesi di riforma ci porta su un terreno che propone con più nettezza lo scontro sul diritto allo studio, come scontro di classe, e non ci possiamo che accettare la sfida. Non è detto che sia più dura di prima, non solo perché non consente equivoci ed ambiguità, ma perché si colloca in una fase in cui nuovi soggetti sociali antagonisti sono scesi in campo, e possono offrire un respiro più ampio a tutti noi per contrastare questo disegno. Possono farci recuperare settori confusi dalla precedente riforma, perché proposta con motivazioni più subdole e da soggetti politici meno inquietanti. Possono saldarsi ai rinnovi contrattuali su un terreno che dalle retribuzioni può estendersi ad aspetti normativi di grande impatto. Il contesto in cui oggi siamo mobilitati può dare fiato a noi come lavoratori della scuola, e alle lotte di questo nuovo movimento studentesco, che sembra poter ricostruire una capacità qualificata di critica a questa scuola e a questa società, mantenendo all'ordine del giorno la richiesta di un mondo regolato dai diritti di tutti/e e non dalle guerre. Se le autogestioni non si concentreranno in un unico momento e non si esauriranno in un fuoco di paglia, e verranno sapientemente diluite nell'arco dell'anno scolastico, potrebbero assumere un valore diverso dal passato, 'costituente' di un diverso modo di fare scuola, soprattutto se avranno il carattere di cogestione, nella quale studenti ed insegnanti si potrebbero finalmente incontrare. L'appuntamento dello sciopero del 14 dicembre, che si potrà via via arricchire di adesioni di categorie e di sigle sindacali, per somigliare sempre più a uno sciopero generale e sempre meno ad uno 'sciopericchio', darà visibilità a tutto questo.


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