Lezioni in impresa contro la crisi
Ugolini: dopo i 14 anni percorsi differenziati, basta parcheggio
Alessandra Ricciardi
Studiare in impresa, già dopo i14 anni. E non più come forma di ripiego, come soluzione B per ragazzi che hanno alle spalle percorsi scolastici difficili, ma come scelta vincente di chi ha voglia di studiare e di lavorare. Elena Ugolini, sottosegretario all'istruzione a cui il ministro Francesco Profumo ha assegnato la delega sulla formazione professionale, punta a un cambio radicale di cultura, anche nel fare orientamento, che riguarda, a livelli diversi, formazione regionale, istruzione tecnica e professionale e Its, gli istituti tecnici superiori. «La formazione è la leva per far uscire il paese dalla crisi.
I profili tecnici e professionali vanno rivalutati, come ha fatto da anni la Germania. E da noi ci sono buone pratiche di botteghe-scuola e scuole-impresa che vanno sviluppate».
Domanda. La critica è sempre stata che i ragazzi devono avere tutti la possibilità di una buona cultura generale e che l'avvio al lavoro precoce fa selezione sociale.
Risposta. Non è così. La formazione tecnica e professionale di cui oggi c'è bisogno è di qualità. Italiano, matematica, storia e almeno una lingua straniera possono benissimo essere insegnate mentre si fa pratica vera in un'azienda. Il che serve anche a superare la mancanza in alcune realtà di laboratori adeguati.
D. Non c'è il rischio di sfruttamento?
R. No, in un sistema sano no. Il lavoro aiuta a imparare.
D. Questo significa differenziare i percorsi degli studenti.
R. Il mito del tutti a scuola è nocivo. Servono percorsi capaci di intrecciare attitudini e intelligenze diverse per i ragazzi dopo i 14 anni. Non possiamo più permetterci di tenerli parcheggiati nei licei o nelle università, di vederli abbandonare gli studi e non trovare un lavoro. E al tempo stesso le imprese non trovare il personale di cui hanno bisogno. In Veneto per esempio su 10 mila ragazzi in formazione professionale il 70% trova un lavoro nel giro di un anno, il 30% continua a studiare. Un ottimo modello, da diffondere.
D. In Veneto c'è anche una situazione economica diversa rispetto ad altre regioni. In Campania, per esempio, c'è più disoccupazione e un tasso di dispersione fortissima negli istituti professionali.
R. Ed è proprio in queste realtà che dobbiamo investire di più, come stiamo facendo con il ministro Barca attraverso il piano per il Sud. Serve una formazione di qualità ma anche giusta, ovvero per profili professionali di cui vi è necessità sul mercato. A questo proposito il lavoro fatto dallo Sviluppo economico è molto utile, per esempio in Sicilia ci sono grandi prospettive occupazionali nel turismo, ma la formazione non è in grado di dare risposta.
D. Come governo avete davanti a voi meno di un anno ancora di tempo. Cosa contate di fare?
R. Stiamo definendo un'agenda per la formazione tecnica, focalizzata sul ruolo centrale della programmazione che comprenda un'offerta dei corsi di istruzione tecnico-professionale collegata sul territorio con le filiere produttive. Puntiamo sull'avvio di poli tecnico-professionali come luoghi formativi di apprendimento in situazione e poi a diffondere le pratiche di bottega-scuola e scuola-impresa, dove la formazione è contestuale alla produzione di beni e servizi. E poi a orientare le famiglie e gli studenti in modo più efficace nella scelta dei percorsi da intraprendere.
D. Il ministro Gelmini ha avviato gli its, gli istituti tecnici superiori, che ora però chiedono fondi perché possano continuare a operare dopo il primo anno. Che risposta dà il ministero?
R. Un fondo di bilancio stabile è fondamentale. Ma è altrettanto importante che le regioni e le imprese che sono nelle fondazioni degli Its facciano la loro parte. Ci sono tanti modi per contribuire agli Its, che devono diventare, come in Germania, un canale alternativo all'università, anche mettendo o a disposizione la propria impresa per la pratica degli studenti. Prima che il mercato faccia selezione, la faremo noi. Solo gli Its che funzionano per davvero andranno avanti