Lettere dai miei studenti
La scuola e il virus
di Amalia Perfetti
Caro direttore, sono un’insegnante di Filosofia e storia del liceo "Guglielmo Marconi" di Colleferro, in provincia di Roma. Ho letto l’articolo di Paolo Di Paolo "I ragazzi forti oltre ogni luogo comune", pubblicato il 19 febbraio. L’ho apprezzato molto, ma poi mi sono detta che il mio poteva essere un giudizio da "adulta", così come quello di Di Paolo. Quello su cui potevo ritrovarmi era l’affermazione che come insegnanti, qualora l’avessimo persa, abbiamo recuperato la stima nei nostri studenti.
In realtà non l’ho mai persa, ma in questi mesi ho apprezzato la loro flessibilità, la capacità di mettersi in gioco affrontando, senza brontolare, una didattica diversa che insieme abbiamo messo in campo. Mi interessava il loro parere.
Così ho mandato l’articolo alle mie studentesse e ai miei studenti, con il mezzo più veloce che utilizziamo in questi mesi per le comunicazioni informali o dell’ultimo minuto, le chat di WhatsApp. Niente doveva lasciare pensare a un compito, così ho solo chiesto, se ne avessero avuto voglia, di leggerlo e farmi sapere cosa ne pensassero. Per un’ora i messaggi si sono moltiplicati. Per prima cosa mi hanno ringraziato per la condivisione, quel "grazie prof" che senti che non è formale, alcuni messaggi semplici, nei quali sono prevalsi due aggettivi, bello e vero, e con un entusiasmo che mi ha colpito. Ma tanti sono stati i messaggi più ragionati.
Ne riporto alcuni utilizzando nomi di fantasia. La prima a rispondermi è stata Raffaella: "Prof lo sa che sono troppo emotiva, a leggere l’articolo mi sono emozionata, perché mi ci ritrovo, l’autore ha usato le parole giuste". Le parole "giuste" è un’altra espressione ricorrente o ancora "prof, sono parole toccanti", parole che sembrano essere arrivate nei loro cuori, perché come scrive Roberto: "Non solo descrive quello che viviamo, ma ciò che l’80% degli adulti pensa di noi giovani". Gli adulti, per Gioia, "ci dicono che il futuro siamo noi, ma poi nessuno ci appoggia, non abbiamo la possibilità di dimostrare chi siamo, per stereotipi o mancanza di fiducia" e aggiungono Emanuela e Lorenzo che senza l’appoggio degli adulti "non possiamo dimostrare chi siamo e le nostre abilità!". Leggendo i loro commenti ci si rende conto di quanto siano stati sollecitati dal fatto di poter essere anche loro ad avere cose da insegnare. Maria Chiara scrive di trovarsi d’accordo con l’articolo sul fatto che "gli adulti potrebbero imparare dai giovani" perché, aggiunge Mirco, "l’età non definisce la maturità o l’intelligenza, ecco!". E a seguire una serie di esatto e concordo, e poi arriva il loro scoramento, come nelle parole di Marta: "Non credono in noi e non ci danno possibilità, c’è bisogno di più fiducia nei nostri confronti, non siamo più bambini, abbiamo potenzialità valide". E tanti pongono l’accento su quanto questa generazione si senta vittima di stereotipi e pregiudizi e su quanto abbiano bisogno di essere supportati per concentrarsi sul presente, prima che sul futuro. Martino interpreta il pensiero di molti scrivendo che "oggi siamo più aperti che mai nell’imparare cose nuove, anche se spesso non lo facciamo. Forse perché non ci sentiamo spronati o non crediamo nelle nostre potenzialità. Penso che la nostra generazione, con i lati belli o brutti dello smartphone e Internet, sia in grado di farsi sentire, mandare messaggi importanti e far capire che non siamo solo ragazzini che passano ore col telefono".
Già il telefono, quel telefono demonizzato che tuttavia utilizzano anche genitori e insegnanti, che "se hanno un problema con il loro — come scrive Astrid — siamo noi che cercano... e questa cosa mi fa riflettere". Luca scrive quasi per ultimo: "Bellissimo articolo.
Credo che come qualsiasi persona potremmo sfruttare le nostre capacità adattandole alle innovazioni della nostra epoca. Ma per farlo abbiamo bisogno di essere sostenuti. C’è poco di nuovo, siamo penalizzati come lo erano i nostri coetanei di generazioni precedenti — e aggiunge, l’unico ad averlo fatto, questo deve far riflettere noi — sono d’accordo con il punto in cui Di Paolo si sofferma sul nostro approccio alla politica, non consideriamo la destra o la sinistra, bensì prestiamo attenzione ai nostri ideali, senza identificarci in un partito politico".
Prima di scriverle, direttore, ho mandato alle mie studentesse e ai miei studenti la vignetta pubblicata domenica, di Mauro Biani, è piaciuta molto, non dobbiamo pensare che i nostri ragazzi stiano su Marte, sono proprio qui piantati nel nostro e loro presente, ci chiedono di essere ascoltati, incoraggiati, spronati, perché come scrive Veronica: "Siamo il presente e forse come mai prima d’ora!
Lo dimostra la rivoluzione che la distanza imposta dalla pandemia ha imposto alle nostre vite. Adesso scivoliamo dall’esagitazione all’apatia e se i grandi non ci capiscono hanno dimenticato di essere stati giovani". Aggiungo che questa discussione, scritta e a distanza, c’è stata a poche ore dalla comunicazione della zona rossa per la nostra cittadina, in mezzo a una Regione gialla, e questa cosa non può non aver avuto un peso sulle loro riflessioni.