Lettere ai giornali
Lettere a Corrado Augias LETTERE Il diritto dei miei alunni al disinteresse di CORRADO AUGIAS Caro Augias,...
Lettere a Corrado Augias
LETTERE
Il diritto dei miei alunni al disinteresse
di CORRADO AUGIAS
Caro Augias, c'è una ragione vera per il disagio degli insegnanti, una ragione che i docenti sanno ma non osano dire: la pesantezza del nostro lavoro è molto aumentata negli ultimi anni.
Non parlo di orario, di programmi, di aggiornamento, di normative... parlo dell'alunno tipo, che è cambiato: in tutti i corsi, dalla prima elementare alla quinta liceo, non corrisponde più ai ritmi consueti dell'età evolutiva, manifesta una sorta di "esibizione del disinteresse".
Vorrei tanto che qualcuno di voi assistesse per qualche ora ad una lezione in una scuola media inferiore e valutasse le difficoltà che affronta un insegnante per difendere il suo diritto ad insegnare.
Qui non valgono il mitico "carisma", l'"amore per il proprio lavoro", la "dedizione": è una quotidiana battaglia contro persone che esibiscono senza pudore la loro indifferenza, sicure dell'impunità e della comprensione dei genitori, della società, dei giornali, degli esperti che stilano statistiche e tabelline.
Sono una persona di sinistra, ho "fatto" il '68, come si dice, da trent'anni sono nella scuola con entusiasmo. Adesso sto per cedere le armi.
La colpa non è della Moratti, della scuola privata, dello stipendio, dei presidi che rompono: il colpo viene dall'omologazione che il mercato, l'economia, l'imbarbarimento dei rapporti hanno instaurato nelle famiglie e nei bambini.
Gerardo Spanghero
Monfalcone
La capisco. Sinceramente. D'istinto sarei preso anch'io dal nervoso o dalla voglia d'andarmene, messo davanti a una ventina di adolescenti che aspettano impazienti la campanella della fine per cominciare a vivere.
Ci sono però una serie di valutazioni da fare. La prima è che più o meno è sempre stato così. Ricordo delle mattinate in classe in cui avrei dato la testa nei muri per la noia intollerabile di una lezione sbagliata, o che io non capivo.
Da qualunque cattedra parli, chi insegna si rivolge in primo luogo all'élite di coloro che lo stanno ascoltando. Poi certo c'è il dovere del buon insegnante di portare avanti l'intera classe tutta insieme. Però sapendo, senza ipocrisie, che in realtà si parla principalmente per quei tre o quattro.
Lei mi obietta che la situazione oggi è peggiore, che il disinteresse viene esibito e anzi reclamato come un diritto. I ragazzi di oggi hanno molto di più dei ragazzi di trenta o quarant'anni fa: più distrazioni, più occasioni, più benessere, più fretta.
E' diventato più grande il distacco tra ciò che la scuola può offrire e la vita che fuori delle aule li aspetta; la cultura classica su cui, giustamente, gran parte della nostra scuola è fondata sembra a questi giovani molto più remota di quanto non sembrasse a noi.
Le famiglie non aspettano più il verdetto dei professori come se fosse scolpito nel marmo. I genitori contestano, giudicano, ricorrono al Tar. Stiamo vivendo una fase di passaggio tra due ere, stiamo cioè vivendo una crisi, nel senso proprio del termine; tra tutte le istituzioni la scuola, per la sua delicatezza e sensibilità, è tra quelle che più ne risentono.
Quando la coglie un attimo di scoramento pensi a queste cose professore, storicizzi se così posso dire il suo disagio, valuti il flusso dei mutamenti che sta cambiando a velocità vertiginosa non solo i suoi alunni ma tutti noi e le cose intorno a noi.
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L'Avvenire
I PRECARI
DELLA SCUOLA
Caro Direttore,
sono un docente di storia e filosofia, laureato con 110 e lode nel 1985, abilitato nel 1990, vincitore dell'ultimo concorso ordinario e, come si dice oggi, precario, a cui sento, senza modestia, di affiancare l'aggettivo "storico".
Dubito che il ministro Moratti abbia mai avuto la ventura di entrare, in maniera anonima, in un Provveditorato del Sud: alcune bolge, descritte da Dante nei suoi gironi infernali sono, al paragone, l'espressione di un'organizzazione efficiente e coerente.
L'enfasi con cui è stato salutato il provvedimento che ha portato all'assunzione di 60mila nuovi docenti di ruolo suscita qualche perplessità e, almeno un interrogativo. Viene data la possibilità, a chi è già di ruolo in altre classi di concorso, di cambiare classe di concorso, dopo aver ottenuto una "veloce e comoda" abilitazione nei precedenti concorsi riservati, e prima ancora che i precari, già abilitati tramite un concorso ordinario o con molti anni di esperienza nell'insegnamento della disciplina, possano accedere al ruolo.
Gli ultimi concorsi riservati, in fondo, erano stati indetti dai precedenti ministri per scongiurare la "paura" di alcuni docenti di venir tagliati fuori dall'avvento della riforma dei cicli. Coerentemente con quanto aveva preannunciato, all'inizio del suo ministero, il ministro ha bloccato l'attuazione di tale riforma. Ma non sarebbe stato opportuno bloccare questa "emigrazione di massa", dal momento che ormai "la sindrome del taglio" era stata scongiurata ?
Ffaccio un esempio: una maestra elementare di ruolo - e sono tante - dopo aver per trent'anni svolto tale compito, improvvisamente, ("paura" della riforma dei cicli, voglia di affermazione) decide, senza averlo mai fatto, di insegnare in una scuola superiore. Niente da eccepire su ciò, sulle sue doti e capacità, ma è lecito dubitare un po' della sua esperienza, anche nei riguardi di chi questo lavoro lo fa, e con passione, da più di tredici anni.
Tale "passaggio" non dovrebbe essere consentito solo dopo che ai precari sia almeno stato garantito l'accesso ai ruoli? Altrimenti i precari, tanti, saranno eternamente tali e "le 60mila immissioni in ruolo" tanto pubblicizzate sono una vera e propria burla.
Biagio Interi
Chiaramonte Gulfi (Rg)
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