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LETTERA APERTA A MICHELE SANTORO SULL'UNIVERSITA'

di una ricercatruce

26/11/2008
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a:
ANNOZERO, BALLARO', IL SOLE 24 ORE, LA REPUBBLICA, CORRIERE DELLA SERA, IL
MANIFESTO, L'UNITA', IL MESSAGGERO, L'ESPRESSO, FAMIGLIA CRISTIANA,
e p.c.
Presidente CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) ANDU
(Associazione Nazionale Docenti Universitari) FLC-CGIL (Federazione
Lavoratori della Conoscenza - CGIL) Presidente SISVET (Società Italiana
delle Scienze Veterinarie) Presidente SOFIVET (Società Italiana di Fisiolgia
Veterinaria) ONDA
Egr dott. Santoro,
Le scrivo in riferimento alla trasmissione "annozero" del 20 novembre
scorso.
a. Progetti di ricerca
Durante le ultime settimane, mi è capitato almeno tre volte, di cui due in
"annozero" (una in "ballarò"), di assistere ad attacchi denigratori e
derisori nei confronti dei titoli di alcuni progetti di ricerca. Sottolineo
"titoli", in quanto la fanfara mediatica impedisce di entrare minimamente
nel merito delle questioni. Ritenevo inizialmente che la mostruosa
grossolanità di questi spiritosoni in mala fede, invitati regolarmente alle
suddette trasmissioni, fosse evidente soltanto per gli addetti ai lavori.
Sicché, personalmente, sono orripilato nel sentir citare in senso
spregiativo ricerche nell'ambito della Medicina Veterinaria: sull'Asino
dell'Amiata (salvaguardia di specie e razze in estinzione, biodiversità,
sviluppo sostenibile produttivo e sociale del territorio, terapia assistita
per pazienti umani disabili, latte di asina come alimento funzionale e per
bambini allergici, sono probabilmente tematiche sconosciute al ministro
Rotondi ed ai più o meno attempati studenti filogovernativi); qualità del
prosciutto (sicurezza e qualità degli alimenti, valorizzazione dei prodotti
tipici locali, impulso alle esportazioni di prodotti pregiati, ritenevo che
fossero interessi di una certa rilevanza nazionale); stress e fatica nel
cavallo sportivo (a parte il fatto che la sensibilità per il benessere
animale è un segno di evoluzione civile, probabilmente non tutti hanno una
idea sia pur vaga del valore economico dei cavalli atleti e del volume di
affari che li circonda - non interessava il PIL?). Ma irritazione e
sconforto sono aumentati quando ho sentito citare i titoli di progetti
scientifici relativi a discipline di cui sono digiuno, ma di cui non stento
comunque ad intuire la rilevanza culturale, sociale e applicativa, quali la
psicopedagogia (cito a memoria: "autostrutturazione del sé prima
dell'adolescenza") o scienze mediche e sociali ("condizioni psicofisiche sui
luoghi di lavoro", o qualcosa del genere) o cultura orientale. L'avvilente
ed allarmante sarcasmo che ha accompagnato tali citazioni è apparso quasi
contagioso nel compiaciuto studio televisivo, mentre il patinato
attore/politico di turno dimostrava un sé assai poco autostrutturato ed una
assoluta inesperienza dello stress e della fatica sul posto di lavoro.
Analogamente, il suo collega che in altre occasioni disprezzava le ricerche
sul prosciutto, non è presumibilmente avvezzo a consumare alimenti di
qualità, peccato per lui. Bastava leggere e capire l'introduzione ai
progetti, oltre che il titolo, per evitare vere e proprie figuracce. Per
usare una metafora forse comprensibile all'interlocutore di cui sopra, è
esattamente come parlare di storia e cultura cinematografica, conoscendo e
citando a casaccio soltanto i titoli di alcuni film.
Mi rivolgo a lei, dott. Santoro, poiché, in virtù della sua reputazione
professionale, a mio avviso dovrebbe cercare di evitare che i suoi invitati
(s)parlino a sproposito di cose di cui non hanno (e non sono tenuti ad
avere) la benché minima cognizione. Comprendo che la spettacolarizzazione e
la banalizzazione di certe tematiche sia funzionale al sistema televisivo,
ma trovo assolutamente disdicevole ed intollerabile, che certe volgari e
offensive provocazioni vengano pedissequamente reiterate, senza la
possibilità di un sia pur superficiale contenzioso.
In realtà dovrebbe essere chiaro che sotto attacco non sono le singole
ricerche (che non meritano certamente di essere valutate in questo modo
aberrante) ma l'intero sistema della Istruzione pubblica, dell'alta
Formazione e della Ricerca, della Scienza, della Cultura e dell'Arte. Tutte
cosette che per loro natura ed in particolare nel contesto italiano sono
fondamentalmente pubbliche. Tutte cosette per cui l'Italia ha da sempre e
finora svolto un ruolo preponderante a livello planetario. A proposito di
sprechi e di finanziamenti ministeriali per i progetti di ricerca di
rilevante interesse nazionale ("PRIN"): la totalità di questi ultimi nella
totalità degli ambiti disciplinari (scienze esatte, umanistiche, biomediche,
ecc ecc, tutto insomma, dall'astrofisica, alla filologia romanza, alla
cardiochirurgia), non solo è scandalosamente esigua (dell'ordine di
grandezza dei 100 milioni di euro annui, sempre di meno, sempre più in
ritardo), ma soprattutto da molti anni corrisponde circa al finanziamento
ministeriale per un unica struttura, l'Istituto Italiano di Tecnologia di
Genova, che si dovrebbe occupare di robotica umanoide, ed il cui presidente
è anche il direttore generale del Tesoro, al ministero dell'Economia e delle
Finanze (sponsor più illustre: il Ministro Tremonti).
Siccome non c'è limite all'ingordigia, nella famigerata Legge 133, proprio
quella dei tagli per tutti, il suddetto Istituto di Ricerca è l'unico ad
avere assegnate ingenti risorse (Art. 17 comma 2).
Allora, ce le vogliamo fare altre quattro risate, invocando lo scandalo, ma
stavolta sul serio?
b. Gerontocrazia, didattica e ricerca
Durante la trasmissione "annozero" del 20 novembre scorso sono stati anche
riportati dati circa l'elevatissima età media dei docenti-ricercatori
universitari italiani. Dati un po' più analitici relativi alle singole fasce
di docenza sono ancora più clamorosi e sconcertanti, soprattutto in
riferimento ai Paesi UE, oppure OCSE, oppure, peggio ancora, rispetto ai
nostri più diretti vicini (ormai solo in senso geografico). Purtroppo non mi
sembra che durante le suddette trasmissioni televisive sia sufficientemente
emerso che tale situazione è banalmente il risultato ovvio e inevitabile di
anni di blocchi del reclutamento, espliciti o indiretti a causa della
cronica mancanza di fondi. Il che è confermato anche dall'elevato rapporto
studenti/docenti in Italia, lontanissimo dalle medie e dai valori dei
suddetti Paesi di riferimento. Quindi, oltre ad essere i meno pagati, siamo
anche i meno numerosi. Ciononostante i risultati della attività formativa
sono tutt'altro che disprezzabili, dal momento che è opinione condivisa e
sostanzialmente corrispondente a verità, che i nostri laureati e dottorati,
non appena varcano i sacri confini nazionali, vengono contesi ed accolti con
tappeti rossi.
Molti Atenei si stanno dotando di certificazioni di qualità per i Corsi di
Laurea. L'attività didattica negli ultimi lustri è andata avanti
dignitosamente (in media) grazie al fatto che i nostri ricercatori
strutturati dedicavano poco tempo alla ricerca, mentre i precari della
ricerca contribuivano in maniera significativa anche alla attività
didattica. Rallentamenti e blocchi delle procedure di reclutamento sono
anche la causa dell'esorbitante numero di precari e della loro elevata età
media.
Come è possibile parlare di Università, anzi di crisi e dissesto
dell'Università, rappresentando soltanto baronie e malaffare (un cancro, ma
notoriamente specchio dell'intera società) senza premettere e considerare
che l'Università italiana è da anni patologicamente sottofinanziata?
Secondo dati OCSE (se ancora conta qualcosa) siamo agli ultimissimi posti
per tutti i parametri più significativi relativi agli investimenti
("investimenti", non "spese") statali per l'Università e la Ricerca
(rispetto alla percentuale del PIL, ben al di sotto della media e circa la
metà rispetto ai nostri più diretti vicini di riferimento). Ci stiamo
inesorabilmente allontanando dalla possibilità di rispettare accordi
internazionali fondamentali (trattato di Lisbona). Ed ecco perché un
miliardo e mezzo di euro in meno sono un colpo mortale, cioè semplicemente
incompatibili con la sopravvivenza, anche dei più bravi e virtuosi. Questa
non è un'opinione, ma un fatto, finora non confutato, e come tale dovrebbe
essere più chiaramente esplicitato in trasmissioni che si occupano di tali
argomenti.
Quindi, in queste condizioni, se abbiamo fatto perfino una didattica
decente, che cosa ne è stato della ricerca? In realtà, con scarsissimi mezzi
umani, materiali e strutturali, i ricercatori italiani risultano sempre ai
primi posti per produzione scientifica (per esempio numero di pubblicazioni
pro-capite). I giovani ricercatori italiani fanno man bassa dei
finanziamenti europei (ma nella maggior parte dei casi sviluppano i loro
progetti all'estero). Allora, come abbiamo fatto finora a fare le nozze coi
funghi? Tra l'altro, grazie al fatto che la maggioranza delle persone di
ruolo ha svolto con dedizione e competenza il proprio lavoro (ed anche
quello di qualcun altro, evidentemente), ma soprattutto grazie all'eroico
sacrificio delle decine di migliaia di precari dell'università (ricercatori,
ma anche tecnici ed amministrativi). Considerazioni sovrapponibili a quelle
riguardanti la situazione della scuola con isuoi i 130 mila precari.
L'"ONDA" è anche questo, e siamo infinitamente grati agli studenti per
averlo immediatamente compreso e riconosciuto. "Eroico sacrificio" non è
espressione retorica: senza considerare la qualità ed il tenore di vita dei
suddetti lavoratori (in termini di ansia, incertezza, privazioni e rinunce),
basta correlare semplicemente le retribuzioni (parole grosse) rispetto alla
mole e qualità del lavoro svolto. Nella maggior parte dei casi le uniche
motivazioni sono "soltanto" la passione per il proprio lavoro e la
consapevolezza di poter contribuire all'ampliamento delle conoscenze ed alla
formazione culturale e professionale, ciascuno nel proprio limitatissimo
ambito. In periodo di crisi stiamo buttando al vento un patrimonio umano
inestimabile di migliaia di professionisti e scienziati, anche con 10-15
anni di esperienza in settori strategici, che hanno all'attivo titoli e
successi documentati e misurabili.
Ce lo possiamo permettere? Non si tratta soltanto dei sacrosanti diritti e
delle sacrosante aspettative dei lavoratori precari, conquistati sul campo a
caro prezzo: anche dal punto di vista degli interessi generali collettivi,
rinunciare a loro significa rinunciare all'ampliamento del Sapere e della
Cultura, alla innovazione scientifica e tecnologica, allo sviluppo dell'Arte
e dei Mestieri. In breve, si stanno minando le possibilità di ripresa e
crescita del Paese, il che è immorale, insensato e criminale.
c. Fondazioni universitarie
Anche su questo argomento si succedono interventi che nella maggior parte
dei casi non contribuiscono ad informare sulla verità. La privatizzazione
(teoricamente facoltativa, ma di fatto inevitabile e completa, per quello
che si può prevedere alla luce delle disposizioni legislative attualmente
vigenti), rappresenta indubbiamente la fine del diritto allo studio nonché
della ricerca di base, nei cui settori l'Italia mostra sovente i propri
punti di forza e le eccellenze. Ma c'è dell'altro: spesso si ingenera
l'equivoco che le università pubbliche verranno sostituite da università
private. In realtà si può prevedere che nella stragrande maggioranza dei
casi non ci saranno più le università, e basta. Dove stanno e chi sono tutti
questi privati interessati ad investire risorse per far funzionare corsi di
laurea e laboratori? Forse le banche o le società finanziarie? Ma non
dovevano essere salvate con i soldi nostri? Quale tessuto territoriale
sociale, economico e produttivo potrà permettersi di supportare avventure
del genere? In Italia peraltro la ricerca privata è praticamente
inesistente. Piuttosto, la natura e la qualità delle improbabili cordate
nazional-popolari potenzialmente interessate, possono essere dedotte
considerando gli enormi appetiti sul non indifferente patrimonio demaniale
di mobili ed immobili, esentasse e senza vincoli di destinazione d'uso: "Al
fondo di dotazione delle fondazioni universitarie e' trasferita, con decreto
dell'Agenzia del demanio, la proprietà dei beni immobili già in uso alle
Università trasformate. Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli
immobili e tutte le operazioni ad essi connesse sono esenti da imposte e
tasse." (L 133/2008, Art. 16 comma 2 e 3).
Tutto questo mi aspetterei di ascoltare in una trasmissione televisiva che
tratta di Università e Ricerca.
Cordialmente.
24 novembre 2008
Lettera firmata
dott.ssa Mariapia Branchi
CSAC - Università di Parma
Abbazia di Valserena, Paradigna (PARMA)


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