Legittimo reiterare i contratti di supplenza, è Cassazione
Vanno in fumo le speranze di migliaia di insegnanti precari: niente assunzione e niente risarcimento
Antimo Di Geronimo
La reiterazione dei contratti di supplenza è legittima. E dunque, i supplenti che sono stati fatti oggetto, ripetutamente, nel corso degli anni, di incarichi a tempo determinato, non hanno diritto né all'immissione in ruolo, né ad alcun'altra forma di risarcimento. Lo ha stabilito la sezione lavoro della Corte di cassazione con la sentenza 10127 del 20 giugno scorso.
Vanno in fumo definitivamente, dunque, le speranze di migliaia di docenti precari. Che, sulla scia di decine di sentenze favorevoli in primo grado, avevano instaurato un vero e proprio contenzioso seriale sulla questione. In ciò agevolati anche dall'apporto organizzativo di alcuni sindacati. D'altra parte il numero delle sentenze di I grado favorevoli era talmente alto, da indurre legittimamente all'ottimismo circa gli esiti di tali azioni. Specie nei tribunali dove i giudici monocratici si erano già espressi favorevolmente. E cioè nella maggior parte dei casi. In buona sostanza, dunque, era legittimo parlare di un vero e proprio orientamento giurisprudenziale. All'interno del quale si erano formate due correnti. Una prima corrente, minoritaria, incline a ritenere che a seguito della successione di contratti di supplenza fosse addirittura legittimo applicare la sanzione della conversione del rapporto. E una seconda corrente, maggioritaria, secondo la quale, ferma l'illegittimità della successione dei contratti di supplenza, la sanzione da applicare fosse quella pecuniaria, sotto forma di risarcimento danni. In quest'ultima corrente si distinguevano, inoltre, due orientamenti. Un primo orientamento, secondo il quale il risarcimento danni doveva essere corrisposto sotto forma di ricostruzione di carriera. E cioè versando ai precari ricorrenti le differenze retributive tra quello che avrebbero percepito se fossero stati immessi in ruolo dal primo momento e quello che avevano effettivamente percepito. E un secondo orientamento, incline a ritenere che la sanzione da applicare fosse quella della forfetizzazione: dalle 5 alle 20 mensilità di retribuzione. A un certo punto, però, i vari procedimenti sono arrivati davanti alle Corti d'appello e le cose hanno cominciato a mettersi male per i ricorrenti. Sebbene anche qui con alcune distinzioni. Alcuni collegi, infatti, hanno deciso per la piena legittimità della reiterazione dei contratti e dunque, per l'inesistenza del diritto al risarcimento. Altri, invece, si sono detti più possibilisti, perlomeno per il risarcimento in coincidenza della successione di supplenze annuali (fino al 31 agosto). Oppure per il diritto alla ricostruzione di carriera. Poi però è giunta una prima sentenza della Cassazione, che ha stabilito l'inesistenza del diritto alla ricostruzione di carriera per i precari (8060/2011, si veda Italia Oggi del 14 giugno 2011). E infine, qualche giorno fa, la Suprema corte è intervenuta in modo esaustivo su tutta la vicenda, fugando ogni dubbio (e ogni speranza). Secondo la sezione lavoro, la successione dei contratti di supplenza è legittima. Prima di tutto perché la disciplina del reclutamento del personale docente della scuola statale è regolato da una disciplina speciale, dettata dalla legge 124/99, dal decreto legislativo 297/94 e dai regolamenti sulle supplenze che si sono succeduti nel tempo, oltre ad altre fonti collettive. E quindi queste disposizioni derogano sia quelle previste dal decreto 368/2001, che si rivolge in generale a tutti i lavoratori, sia quelle contenute nel decreto 165/2001, che riguardano in generale il pubblico impiego. E poi perché la disciplina del reclutamento nella scuola è conforme al diritto comunitario in quanto la reiterazione dei contratti: «Risponde ad oggettive, specifiche esigenze, a fronte delle quali», si legge nella sentenza, «non fa riscontro alcun potere discrezionale della pubblica amministrazione, per essere la stessa tenuta al puntuale rispetto della articolata normativa che ne regola l'assegnazione». Pertanto, essendo legittima la reiterazione dei contratti di supplenza, non è dovuta alcuna forma di risarcimento a chi ne è fatto oggetto.