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Le sfide ancora aperte

la parte centrale di un articolo più ampio, che uscirà su "Critica marxista" n. 2/3.2015.

17/06/2015
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Emma Colonna

da Insegnare.org

La grande assente nel Ddl in discussione al Senato, come hanno detto e hanno scritto in tanti in queste ore difficili, è l’anima della scuola italiana, e cioè la cultura pedagogica. La "Buona scuola" non ha fra i suoi obiettivi quello di formare l’uomo e il cittadino, di diminuire le diseguaglianze sociali, di essere inclusiva e aperta a tutti. Quello che conta è preparare individui sufficientemente flessibili per le richieste del mercato, senza preoccuparsi se per fare questo si riproducono le disuguaglianze e si perdono i ragazzi lungo la strada. Sarà una scuola succube del mito dell’efficienza, che in condizioni di diseguaglianza diventa essa stessa un miraggio irraggiungibile. Sarà una scuola meno libera.

Eppure proprio in questo momento l’Italia avrebbe bisogno di più scuola, di una scuola più aperta e ricca (di contenuti e opportunità, non solo di risorse finanziarie), di una scuola che dia a tutti più capacità e più cultura, di una scuola più solida, su tutto il territorio nazionale.
In primo luogo tutta la società italiana, per essere in grado di reggere la competizione a livello mondiale, deve essere più istruita. Dall’analisi e dal confronto di parametri di livello internazionale – quelli che ci ricorda spesso De Mauro, dalla quantità dei libri letti in un anno, alla capacità media di decifrare messaggi semplici – emerge che la percentuale di adulti dealfabetizzati in Italia è altissima, più alta delle altre nazioni del mondo occidentale. Abbiamo contemporaneamente gli adulti che, in mancanza di politiche mirate, tendono a impoverirsi culturalmente, e i giovani travolti in misura sempre più ampia, come purtroppo ci dicono i dati, dalla disoccupazione e dalla dispersione scolastica. Basterebbero questi elementi per imporre a qualsiasi governo, di qualsiasi colore politico, di puntare sulla scuola per il futuro del proprio paese, come del resto si sta facendo in tutte le società più avanzate. Non c’è altra strada per far crescere un paese se non innalzare il suo livello diistruzione, quello di tutti e non solo quello di una minoranza. E per fare questo bisogna intervenire per equilibrare in tutto il territorio nazionale il livello medio delle scuole, innalzandolo soprattutto dove si riscontrano bassi livelli di istruzione e scuole che fanno fatica a raggiungere buoni risultati.

Ebbene, con l’indirizzo assunto dal governo l’Italia, che già sul piano dello squilibrio del sistema è ai posti più bassi nel mondo, prima solo della Cina, corre vertiginosamente in direzione opposta, decide di aumentare le differenze fra scuola e scuola, fra territorio e territorio, fra zone ricche e zone povere del paese, centri e periferie, nord e sud. Inoltre, non occorre sottolineare che operare lucidamente per aumentare le differenze fra le scuole, sollecitandone la concorrenza, ha come inevitabile conseguenza quella di scoraggiare politiche di inclusione e di accoglienza, chiaramente difficili e impopolari, ma indispensabili in questo momento, sia per affrontare i problemi drammatici legati agli inevitabili flussi migratori, che per affermare con i fatti un valore educativo e culturale irrinunciabile se vogliamo guardare avanti con meno paure e trasmettere alle generazioni che verranno un testimone prezioso per il futuro del mondo intero.

In secondo luogo, agire consapevolmente sui rapporti di lavoro per aumentare la conflittualità nella scuola è un’azione irresponsabile, dettata dall’arroganza cieca di chi non si rende conto delle conseguenze dei propri atti e da un atteggiamento ideologico e a tratti integralista, succube del “pensiero unico”. E il problema non è, come insinuano i sostenitori dell’azione del governo, di aver sollevato temi come il merito o la carriera, argomenti su cui sono aperti il confronto, la riflessione e la proposta, ma le ripercussioni che un assetto gerarchico e tendenzialmente autoritario avranno su temi così importanti come, appunto, il merito e la carriera.

La scuola pubblica è rimasta forse l’unico luogo strutturato in cui, fino ad oggi, è stato possibile un esercizio di libertà, diciamo così, disinteressato. L’unico luogo in cui ci si può ancora confrontare fra pari e con gli adulti in condizioni di sostanziale libertà. Per gli adolescenti di oggi non solo non esistono più i cortili, ma non ci sono più neanche le piazze e tutti i luoghi di aggregazione di un tempo. Perfino i luoghi in cui si fa sport sono diventati fonte di competizione spesso violenta. A scuola si sta a contatto con gli adulti per un tempo maggiore che nelle case, dove i ragazzi sono sempre più soli. La scuola è l’unico luogo dove c’è un tempo per l’ascolto, per la discussione, per la riflessione, per la critica. Dove si impara a non aver paura di dire le proprie idee. Dove si incontrano persone diverse, con altri gusti. Dove si impara a conoscere il mondo. In un certo senso la scuola è come se fosse una zona franca, quasi un mondo parallelo, in cui si può rallentare il ritmo convulso della vita e approfondire, in cui si può sbagliare e ripartire. Ma perché tutto questo sia possibile deve essere un luogo libero.

Perciò l’opposizione alle scelte del governo non può esaurirsi con la battaglia su questa legge. Il movimento di protesta che è nato da questa lotta è profondo e molto radicato e non si fermerà. Il governo, al di là delle apparenze, è del tutto sordo. Ma non ascoltare è una scelta miope, che rivela non solo un atteggiamento profondamente antidemocratico, ma, come hanno osservato già tanti commentatori, la mancanza di un progetto di fondo, di una idea di scuola all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte.
Questo significa che sulla scuola non si può più soltanto agire di rimessa rispetto alle proposte del governo. La sinistra, sia quella che è in Parlamento che quella che è stata in piazza insieme a tutto il mondo della scuola, deve riprendere l’iniziativa. Ha il compito di elaborare proposte sulle questioni aperte, raccogliendo in un progetto coerente tutto quello che in questi mesi sindacati, associazioni degli studenti, associazioni degli insegnanti, movimenti, hanno elaborato e prodotto. Su molti dei temi che saranno oggetto di delega esistono proposte strutturate e definite, e su di essi non bisogna allentare la pressione.

Ma contemporaneamente bisogna avere la forza di guardare avanti e misurarsi con i cambiamenti che sono avvenuti negli ultimi decenni. Non ci si può sottrarre alla responsabilità di affrontare alcuni temi caldi, sui quali il dibattito è ancora aperto e anche molto acceso. Non basta più, a questo punto, rifarsi alla Costituzione senza porsi il problema di come le sue indicazioni possano essere applicate nella realtà in trasformazione. Bisogna saper affrontare perciò, da sinistra, tre questioni fondamentali e tuttora controverse che non a caso sono state il varco attraverso il quale si è introdotta la “controriforma” del governo, e che sono strettamente intrecciate fra loro. Si tratta, appunto, dei temi dell’autonomia, del merito e dei finanziamenti.
 


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