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Le mie cinque domande alla città della scienza

di Elena Cattaneo

29/11/2016
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la Repubblica

La POSIZIONE che ho difeso, nella discussione pubblica e politica sul progetto Human Technopole (Ht), riguardava i “risvolti etici” dell’operazione. Per “etica”, in questo caso, intendo l’uso trasparente ed efficiente del denaro pubblico, cioè l’adesione a regole e valori vincolanti per il decisore pubblico così come per lo scienziato. Si tratta di giudicare, senza personalismi, se le scelte sono state guidate dal rispetto della libertà della scienza, delle competenze, dei fatti, delle procedure per ottenere il miglior risultato realizzabile.

SEGUE A PAGINA 45
CONFORTATA dalle linee guida, dalle esperienze internazionali e da decenni di lavoro nel campo la mia risposta è stata, no.
Anche un bambino capisce che affidare per decisione politica all’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), un ente la cui missione non è le scienze della vita o la nutrizione, il progetto Ht è stato un errore. A sua volta, Iit ha reclutato discrezionalmente enti e linee sperimentali lasciandone fuori altri/e che svettano sul piano internazionale. Tutto all’antitesi del metodo necessario.
Queste critiche erano tanto motivate da indurre il Governo ad introdurre importanti correttivi. Con decreto ministeriale di settembre si è stabilito che la realizzazione del progetto sarà affidata a una nuova Fondazione, terza e indipendente, in via di istituzione con l’attuale legge di Bilancio, che vedrà la luce “entro” 24 mesi, durante i quali Iit opererà con un comitato di coordinamento. Il Comitato si insedierà oggi e, nel cambio di passo, il governo ha chiamato a farne parte insigni scienziati (sebbene ancora una volta con procedure ignote), oltre ai membri “di diritto”.
Ora però bisogna chiedersi se l’impiego di centinaia di milioni di euro ogni anno (a regime), previsto per Ht dal comma 116 della legge di Bilancio, sia assistito da correttivi sufficienti ad assicurare la buona “resa” dell’investimento, a partire da una governance priva di ombre per gli anni a venire. Penso che per rispondere sia dirimente quel che Governo e Parlamento decideranno con la legge in discussione sui seguenti aspetti: 1) Occorre garantire un meccanismo di valutazione e controllo reale, costante e trasparente sul funzionamento di Ht da parte dei Ministeri vigilanti. Occorre evitare che si ripetano casi come Iit che, in evidente assenza di una concreta vigilanza, operando con mastodontici conflitti di interesse e agendo al di fuori di qualunque logica competitiva ha accantonato mezzo miliardo di euro mentre il resto della ricerca italiana languiva. Ecco perché l’impegno economico stratosferico (per i parametri italiani) di denaro pubblico su Ht deve prevedere per legge una valutazione istituzionale, che sia internazionale, esterna, terza e competente, che si attui almeno ogni tre anni — da trasmettere al Parlamento — e che misuri ogni aspetto di Ht, cioè la sua efficacia e efficienza, la governance e il suo rinnovo, l’assetto finanziario, il raggiungimento dei risultati stabiliti e il loro impatto scientifico e tecnologico, con impegni di spesa e direzione di investimento trasparenti. Valutazioni dalle quali fare discendere le successive erogazioni di denaro. Nel frattempo, gli studiosi di ogni disciplina attendono le azioni di governo, annunciate in Senato dal ministro Giannini, per liberare quei 430 milioni della ricerca pubblica dati in eccesso a Iit e imprigionati nei suoi conti presso la Banca d’Italia e incomprensibilmente indisponibili (a Iit, e anche al Paese?).
2) Occorre pianificare sin d’ora alcuni risultati attesi sui quali valutare Ht. Se l’obiettivo è una migliore qualità della ricerca italiana e lo sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza, allora è essenziale che si stabiliscano tempi e metriche per valutare i risultati e si fissino in linea di massima gli obiettivi per il trasferimento tecnologico. La vaga visione di un “miglior futuro” per il Paese e Milano e la declamazione di diventare così numeri uno al mondo sono indice di superficialità e dell’assenza di un’analisi dei costi-benefici, a cui rimediare.
3) La Fondazione Ht non dovrà consentire movimenti opachi dell’ingente quantità di denaro pubblico di cui disporrà, dovrà pubblicare regolarmente i suoi bilanci e le procedure per l’assunzione del personale, non potrà emettere partite di giro di valore superiore all’investimento annuo né farle sparire dai suoi bilanci. In altre parole, le numerose problematicità documentabili del modello “fondazione — di diritto privato — largamente finanziata con denaro pubblico” che emergono analizzando Iit non devono trovare alcuno spazio in Ht.
4) Nessun impegno di spesa verso strutture esterne ad Ht/Rho. L’investimento dello Stato ha l’obiettivo di creare una infrastruttura, un nuovo centro a Rho, e su questo si deve misurare l’avanzamento del progetto. È incomprensibile che enti e ospedali già esistenti e autonomi dichiarino che saranno parte di Ht, annuncino accordi, partecipazioni scientifiche, acquisizione di denaro o di personale Ht. Sarebbe grave la destinazione (anche indiretta) di fondi o personale Ht verso enti diversi dal nuovo centro che si vuole creare. Qualora tra anni, a infrastruttura a regime, si paventi per Ht la necessità di sviluppare attività fuori da Rho (evitando di vampirizzare competenze e idee degli enti esterni con il denaro di cui disporrà) si dovrà consentire a tutti i Centri di ricerca di avanzare proposte con un bando aperto a tutta l’Italia.
5) L’integrazione di Ht nel Piano nazionale della ricerca (Pnr), ora prevista dal testo di legge licenziato dalla Camera, andrà sostanziata. La ricerca italiana sta funzionando ben al di sopra delle possibilità garantite dal suo magro finanziamento (e malgrado l’ingiusta e continua umiliazione). Schizofrenico sarebbe definire il Pnr e poi finanziare una iniziativa sostanzialmente scollegata che dreni tanta parte dei contributi alla ricerca pubblica.
Questi sono gli aspetti su cui confrontarsi e cercare risposte. E se usare la parola “etica” è per alcuni troppo impegnativo, parliamo di efficacia e efficienza, di regole d’ingaggio, di politica della ricerca e, soprattutto, di vantaggi per i cittadini che pagano. Ma facciamolo da oggi.
L’autrice è docente all’Università degli Studi di Milano e senatrice a vita

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