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Lavorare di più? Non conviene

Alta tensione negli istituti sui paletti della legge 122. E i docenti cominciano a dire di no ai presidi

02/11/2010
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ItaliaOggi

di Alessandra Ricciardi

La protesta sta montando sul territorio. Via via che passano le settimane, e vanno in cantiere le attività aggiuntive per il 2010/2011, nelle scuole si fanno i conti con quanto prevede la legge 122 di quest'anno, la manovra che ha stretto i cordoni della borsa per la spesa pubblica con una notevole incidenza sul trattamento dei travet.

Il problema è l'articolo 9 del provvedimento che, se interpretato in modo rigido, renderebbe di fatto svantaggioso per insegnanti, ma anche bidelli e amministrativi, accettare incarichi aggiuntivi rispetto allo scorso anno scolastico: perché potrebbero non avere diritto ad essere compensati. E lavorare di più per guadagnare sempre lo stesso non è nelle corde della categoria. Così si registrano i primi rifiuti alle proposte dei dirigenti, dai progetti di recupero all'apertura pomeridiana delle palestre scolastiche. L'articolo 9 prevede che per il 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti pubblici, «compreso il trattamento accessorio», non può superare quello in godimento nel 2010. Nella scuola esiste un trattamento accessorio, la Cia per bidelli e amministrativi e la Rpd per gli insegnanti, che hanno carattere fisso e continuativo. E poi ci sono compensi aggiuntivi, che servono a pagare prestazioni specifiche di volta in volta realizzate. Si pagano con il fondo di istituto, che a questo scopo ogni anno ha a disposizione circa un miliardo di euro. Pacifico, alla luce dell'articolo 9, che non potranno esserci aumenti sull'accessorio fisso, che vale annualmente dai 700 euro di un Ata fino ai 3 mila di un insegnante quasi a fine carriera. Il dubbio resta sulle retribuzioni per specifiche prestazioni. Il divieto infatti, se fosse esteso anche a queste voci, comporterebbe la conseguenza che l'amministrazione chieda ai propri dipendenti prestazioni a titolo gratuito. Il caso è quello di un bidello appena trasferito in una scuola, al posto magari di un collega andato in pensione. E a cui il preside proponga di garantire, fuori dall'orario di lavoro, l'apertura e il controllo della palestra scolastica per attività sportive dei ragazzi o per manifestazioni culturali. Visto che nel passato anno scolastico non lavorava in quell'istituto, e non ha svolto dunque la mansione pomeridiana, se accettasse si troverebbe a lavorare di più ma a non poter essere pagato. Insomma, ci sarebbe un congelamento di prestazioni e compnesi che rischia di pregiudicare, complice il rifiuto dei dipendenti, il normale svolgimento della vita scolastiche. Oltre a creare un contenzioso tra prof-Ata e presidi. E così è scoppiata la corsa a  chiedere chiarimenti agli uffici scolastici provinciali e regionali sul cosa fare. Risposte ufficiali al momento nessuno si azzarda a darne. Ci sono però risposte ufficiose, catalogabili in due categorie. La prima: la norma parla di trattamento complessivo, dunque riguarda tutto. E comunque, il dirigente che si espone a pagare chi non aveva già quel compenso, se non confortato da parere favorevole dell'amministrazione centrale, potrebbe vedersi richiedere il risarcimento per danno erariale. Mentre ci sono altri, è la seconda tesi, che ritengono, sempre informalmente, che il caso neanche sussisterebbe: non si tratta di accessorio ma di pagamenti per attività aggiuntive. E attività a titolo gratuito non se ne fanno. La protesta è arrivata a viale Trastevere. Per evitare di mettere dirigenti contro insegnanti e viceversa, di avere una stessa legge applicata in modo diverso sul territorio, si chiede che il ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, confortata dai colleghi di Economia e Funzione pubblica, dica cosa fare. Intanto, fioccano i primi no alle proposte di progetti aggiuntivi.


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