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Lavoce.info: L'università e un programma deludente, di Pietro Reichlin

Il sistema universitario italiano è malato a causa di una scarsa produttività, di un abnorme invecchiamento del corpo docente e di un numero intollerabile di studenti fuori corso.

01/04/2006
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lavoce.info

Il sistema universitario italiano è malato a causa di una scarsa produttività, di un abnorme invecchiamento del corpo docente e di un numero intollerabile di studenti fuori corso. Questi fenomeni sono aggravati dall’eccessivo egualitarismo, dal ricorso continuo a stabilizzazioni e promozioni di docenti e ricercatori mediante concorsi riservati, da una scarsissima partecipazione degli studenti e delle imprese ai costi dell’istruzione.

È chiaro a tutti che per uscire dalla crisi non serve creare nuove fasce di docenza, né dare il posto a vita a ricercatori di ogni ordine e grado, né imporre che la laurea sia un lasciapassare per l’impiego pubblico. Se vogliamo salvare l’istruzione pubblica, dobbiamo usare con più coraggio la leva degli incentivi, lasciando maggiore libertà di iniziativa agli atenei. Basterebbe guardare a ciò che si sta facendo in altri paesi per conciliare efficienza ed equità nell’istruzione universitaria pubblica: crediti agevolati per pagare le rette universitarie, borse di studio adatte a incentivare la mobilità e la scelta degli studenti, stipendi legati alla produttività scientifica, liberalizzazione dei criteri di reclutamento e apertura al mercato accademico internazionale.

Il programma dell’Unione

Quali sono le idee nuove del centrosinistra italiano? Cosa cambierebbe, nel concreto, se vincesse le elezioni?

Il programma dell’Unione per l’università e la ricerca scientifica contiene propositi ambiziosi: dare spazio ai giovani, promuovere il talento, rilanciare la ricerca e l’istruzione universitaria mediante maggiori finanziamenti (fino al 2 per cento del Pil), costituire un “piano pluriennale di assunzioni a tempo indeterminato”, adeguare l’entità delle borse di studio ai livelli europei (“le borse di studio dovranno essere garantite a tutti coloro che ne hanno diritto”). Tutto ciò sarà fatto a carico delle finanze pubbliche senza alcun accenno alla partecipazione ai costi da parte degli utenti. In buona sostanza, il programma accredita la tesi, discutibile, che i mali del sistema universitario italiano siano dovuti alla mancanza di fondi. Poiché la ricerca e l’università non sono la sola voce di bilancio a cui l’Unione vuole destinare risorse aggiuntive, dubito che queste promesse saranno mantenute in tempi ragionevoli. Il deficit tendenziale dello Stato sembra essere fuori controllo.

Il programma è vago (a volte criptico) su ogni aspetto che riguarda la ripartizione dei finanziamenti ministeriali e la definizione delle regole concorsuali. Ad esempio, si propongono selezioni “con distinzione tra reclutamento e promozioni di carriera, che coniughino l’autonomia di scelta degli atenei con le garanzie di standard internazionali di merito e di trasparenza dei processi selettivi”. Su distribuzione dei fondi, autonomia e competizione tra università, non si segnalano novità. Il programma riafferma il valore legale della laurea, propone di rendere più “equi” e “stabili” nel tempo i finanziamenti ministeriali. Inoltre, compare la promessa di trasformare il ruolo di ricercatore in una terza fascia di docenza. Per quale motivo la moltiplicazione delle fasce dovrebbe migliorare la produttività scientifica o didattica degli atenei?

L’impressione è che gli autori del programma siano principalmente interessati a “rassicurare” il personale accademico invece che a risolvere problemi, rimanendo impigliati in una logica attendista e contraddittoria. Da una parte, si riafferma il valore dell’autonomia “responsabile” degli atenei, si vuole dare spazio ai giovani e promuovere i talenti. Dall’altra, si accenna a riequilibri territoriali, stabilità dei finanziamenti ordinari, piani di assunzione a tempo indeterminato che tengano conto dell’urgenza di stabilizzare i precari. (1) Infine, si vuole imporre un “rapporto equo tra servizi offerti, contribuzione studentesca e strumenti del diritto allo studio”, cioè, deduco, limitare ulteriormente, con metodo dirigistico, i livelli delle tasse universitarie.

In altre parole, il testo è un passo indietro persino rispetto alla situazione presente, già ampiamente funestata da vincoli ministeriali, uniformità delle procedure, limiti all’utilizzo di nuove forme contrattuali e ai criteri di reclutamento. Nessun punto del programma suggerisce lo sviluppo di una maggiore concorrenza tra gli atenei per aumentare l’efficienza del sistema. Né si incoraggiano le università a cercare risorse sul mercato.

L’unico punto programmatico in controtendenza è l’idea di legare una quota dei finanziamenti degli atenei alla valutazione di un’agenzia indipendente (“incentivi finanziari premiali”). Tuttavia, non si argomenta quale sia la novità rispetto al sistema di valutazione Civr, che è stato appena costituito e di cui sono stati appena pubblicati i risultati, e non si accenna minimamente all’entità della quota di finanziamenti che sarebbero condizionati alla valutazione: un regresso rispetto alla proposta Moratti, che quantifica la quota di incentivazione al 30 per cento dei fondi complessivi.

Speriamo che emerga maggiore consapevolezza dell’entità della crisi del nostro sistema d’istruzione superiore in un futuro non troppo lontano.

(1) Testualmente: “urgenza di incidere profondamente sull’enorme numero di persone che lavorano nelle università e negli enti di ricerca con forme innumerevoli di precariato”.


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