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Laureati, ora il lavoro è un miraggio

Negli ultimi quattro anni le percentuale dei laureati senza lavoro è passata dal 10,8 per cento al 19,6 per cento. Cresce la precarietà e diminuisce ancora il potere d'acquisto degli stipendi. I risultati dell'indagine di AlmaLaurea che ha coinvolto 400 mila profili usciti dagli atenei italiani

07/03/2012
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la Repubblica

di Federico Pace

Da diritto a chimera. Il lavoro si allontana sempre di più dall'orizzonte delle prospettive dei giovani italiani. Tanto che un'occupazione, anche per chi consegue una laurea, è divenuta un'esperienza fuggitiva al pari di un miraggio. Un riverbero più lontano, quasi un'illusione o un'isola che non c'è. Ancor più di quanto non sia stato già negli anni scorsi.

Oggi il 19,6 per cento dei laureati che hanno concluso il ciclo del 3+2 non hanno ancora un lavoro dopo dodici mesi dall'avere conseguito il titolo di studio. Nel 2008 erano il 10,8 per cento. In quattro anni la disoccupazione per loro è ora praticamente raddoppiata. Condividono lo stesso destino anche i ragazzi e le ragazze che chiudono gli studi dopo il triennio. Dal 2008 al 2011, è raddoppiato anche il loro tasso di disoccupazione: dall'11,2 per cento al 19,4 per cento (vedi la tabella 1).

I dati li ha presentati questa mattina AlmaLaurea a Roma, presso la sede della Crui, in occasione della pubblicazione del quattordicesimo Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati. L'indagine quest'anno ha coinvolto circa 400mila laureati dei 57 atenei aderenti al consorzio interuniversitario.

Difficile non inserire i destini dei laureati nell'ambito più ampio delle difficoltà sofferte dai giovani nell'accedere al mercato del lavoro. Da noi, è ormai noto, il 31 per cento degli under 25 non ha un impiego. In Germania,

forse questo è meno noto, sono appena il 7,9 per cento. Se si vuole davvero fare qualcosa per loro, non c'è molto tempo da perdere. Anche questo è uno "spread" che va ridotto al più presto.

Poco utilizzati da noi, molto di più altrove. Tacciati spesso di essere impreparati per la vita d'azienda, i laureati italiani trovano con sempre maggiore frequenza impieghi di alto profilo nelle imprese al di fuori dei confini nazionali. Sismologi, esperti di marketing e persino ingegneri. Nel 2011 in Italia la domanda di laureati delle imprese è stata pari solo al 12,5 per cento di tutte le assunzioni previste (vedi quali figure vengono richieste 2). Negli USA, secondo le stime del decennio 2008-2018, la richiesta dei laureati è pari al 31% del complesso delle nuove assunzioni.

Disparità territoriali. Frammentata e diversa da se stessa, l'Italia del lavoro mostra situazioni sempre più polarizzate. Il nord sempre più a nord, il sud sempre più a sud. Se nel 2008 il tasso di occupazione dei residenti delle regioni del nord superava di 13,5 punti percentuali quello dei loro coetanei del Mezzogiorno, oggi il differenziale è salito ancora fino a raggiungere il 17 per cento.

La stabilità mai trovata. La strada che porta al lavoro, a ogni modo, è sempre più tortuosa in tutte le città e molti laureati italiani continuano a fare esperienze molto lontane dal "posto fisso". Tanto che molti di loro non l'hanno neppure sperimentato mai e forse non avranno la possibilità di valutare personalmente se sia un'esperienza "noiosa" o meno.

Nel 2011, dice AlmaLaurea, solo il 34 per cento dei laureati specialisti ha potuto siglare un contratto a tempo indeterminato. Molti di più sono invece quelli che continuano a misurarsi, senza avere alcuna possibilità di scelta, con contratti collaborazione, missioni "in affitto" e lavoro nero dove di contratto non se ne vede neppure l'ombra.
Il nodo delle paghe. Il potere d'acquisto degli stipendi è, insieme alla stabilità di un impiego, l'altra variabile cruciale che rende evidente, in maniera plastica, quanto stia diventando sempre più complesso per i giovani entrare nella società in maniera attiva.

In quattro anni, dice il rapporto del consorzio interuniversitario, lo stipendio netto di un laureato specialistico in termini reali è diminuito del 13 per cento. Nel 2011 lo stipendio netto, a un anno dalla laurea, arriva a mala pena sopra i mille euro (vedi la tabella 3).

In questa complessiva regressione si registra, anche nel campo delle retribuzioni, un'ulteriore peggioramento delle disparità tra i due poli del Paese che, durante gli anni della crisi, sembrano essersi allontanati ancora di più. Se nel 2009 un laureato impiegato in un'impresa del nord guadagnava l'8,2 per cento in più di chi lavorava al sud, nel 2011 il differenziale è arrivato al 16,9 per cento rendendo difficile giustificare una situazione del genere anche a chi è convinto che siano sufficienti i differenti costi della vita a spiegare un fenomeno del genere. E le disparità permangono anche tra uomini e donne (vedi tabella 4).

L'importanza dei laureati. Il ruolo chiave che i laureati rivestono, molto più che da noi, nelle nazioni con ingenti investimenti nello sviluppo e nelle ricerca indicano la strada da seguire se si vuole venire fuori dalla crisi. "L'evoluzione della quota di occupati nelle professioni più qualificate - scrivono gli autori dell'indagine - evidenzia criticità, di natura sia strutturale sia congiunturale, queste ultime particolarmente preoccupanti". Tanto che, "tra il 2004 e il 2008, quindi negli anni precedenti alla crisi, tranne che in una breve fase di crescita moderata, l'Italia ha fatto segnare una riduzione della quota di occupati nelle professioni ad alta specializzazione, in controtendenza rispetto al complesso dei paesi dell'Unione Europea".

Senza attendere e con investimenti. Per Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea, non si deve aspettare oltre e si deve intervenire al più presto: "Sarebbe un errore imperdonabile sottovalutare o tardare ad affrontare in modo deciso le questioni della condizione giovanile e della valorizzazione del capitale umano". Servono investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo e, spiega Cammelli, "i criteri meritocratici di attribuzione dei fondi potranno contribuire a migliorare l'efficacia interna ed esterna del sistema universitario a condizione che i fabbisogni minimi e complessivi di risorse siano determinati secondo i parametri internazionali relativi al costo della didattica e della ricerca".

 

 

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