Laureati con lode. La certificazione della marginalità dell'Italia
Pietro Greco
L aureati e disoccupati. E non potrebbe essere altrimenti: nel Paese dove la disoccupazione aggredisce i giovani, tutti i giovani (uno su tre non trova lavoro), anche i “dottori” rischiano di restare senza impiego e senza stipendio. Ora però arriva un dato inquietante: negli ultimi quattro anni i disoccupati con laurea sono praticamente raddoppiati. Nel 2008 i neolaureati disoccupati che a un anno dalla laurea magistrale (3+2) risultavano ancora senza lavoro erano il 10,4% del totale; nel 2011 sono saliti al 19,6%. Analogo l’andamento per la laurea breve (quella di 3 anni): i disoccupati a un anno dal termine degli studi erano l’11,2% nel 2008, sono saliti al 19,4% nel 2011. Sono questi i dati salienti del «rapporto AlmaLaurea» redatto dal gruppo di lavoro di Andrea Cammelli, dell’università di Bologna, e presentato ieri a Roma presso la sede della Crui (la Conferenza dei Rettori delle università italiane). L’indagine ha riguardato 400.000 giovani laureati presso 54 diversi atenei del Paese. Sono dati che parlano da soli: il sistema produttivo italiano non richiede giovani laureati. Non che, beninteso, la laurea sia inutile. Il tasso di disoccupazione tra i giovani tra i 18 e i 25 anni è salito, nel 2011, al 31%. Mentre tra i neolaureati è ancora inferiore al 20%. Dunque, laurearsi conviene ancora. Ma conviene sempre meno. Il rapporto di Andrea Cammelli andrebbe studiato più in profondità. Mostra, infatti, che la forbice tra nord e sud sta aumentando. Sia al Settentrione che nel Meridione la disoccupazione giovanile qualificata aumenta. Ma se nel 2008 nel sud la percentuale di disoccupati era di 13,5 punti superiore a quella del nord, nel 2011 è la differenza è salita a 17,0 punti. Diminuiscono gli stipendi d’ingresso: lo scorso anno non superava i 1.100 euro al mese, contro i quasi 1.300 del 2008. I salari dei giovani laureati sono diminuiti del 13%. Mentre continua la curiosa circostanza che i giovani con laurea specialistica guadagnano meno dei giovani con laurea breve. Cresce anche la precarietà. Lo scorso anno solo un terzo (il 34%, per la precisione) dei giovani con laurea magistrale (3+2) ha potuto firmare un contratto a tempo indeterminato. Il quadro del lavoro tra i giovani qualificati è, dunque, sempre più drammatico. Ma c’è un quadro più generale, che riguarda l’intero Paese, che è almeno altrettanto grave. In Italia i lavoratori più richiesti dalle imprese sono quelli con il titolo di studio minore: la licenza media. La domanda di laureati è solo il 12,5% del totale. Negli Stati Uniti è pari al 31% del totale. Il motivo è semplice da spiegare. Negli Stati Uniti l’industria ha una specializzazione produttiva nell’alta tecnologia e dunque richiede più lavoratori qualificati. In Italia l’industria ha una specializzazione produttiva nella media e bassa tecnologia e, dunque, richiede lavoratori meno qualificati. Questo è un guaio, per diverse ragioni: perché nel mondo lo scambio dei beni ad alta tecnologia cresce più di quelli a bassa tecnologia; perché i paesi più ricchi possono sperare di competere solo producendo beni di maggiore qualità; perché i lavoratori qualificati nelle imprese hi-tech guadagnano di più. Ma il guaio del guaio è che la differenza tra l’Italia e gli altri paesi avanzati tende a crescere. Negli Usa come in Germania o in Giappone il numero di laureati tende a crescere (ogni anno in area Ocse si laura il 40% dei giovani, contro il 20% dell’Italia). Il che significa che il nostro Paese invece di recuperare il gap tecnologico della propria industria manifatturiera tende ad aumentarlo. La forbice non è relativa solo ai Paesi più sviluppati. Anzi tende ad aumentare a velocità persino maggiore rispetto ai Paesi che ancora oggi, con una definizione ormai obsoleta, chiamiamo Paesi emergenti. In Corea del Sud, per fare un esempio, il 70% dei giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni, ha una laurea (contro il 20% dell’Italia). E sono quasi tutti occupati. E la percentuale tende a crescere. La Corea del Sud non è una fluttuazione. Ma un’avanguardia. Indica che in futuro - un futuro già iniziato - lavoreremo in un ambiente cognitivo affatto diverso. Un ambiente in cui l’elevata qualificazione non sarà solo un’opportunità, ma una necessità. La laurea sarà quello che qualche decennio fa erano la licenza elementare e media e oggi è la licenza di scuola media superiore: un titolo di studio di massa. I Paesi che non avranno giovani laureati o non sapranno premiare i propri giovani laureati avranno un ruolo sempre più marginale e sono destinati rapidamente a impoverirsi. Molto più che gli spreads e molto più delle analisi comparate del debito pubblico, sono i dati di «AlmaLaurea» a dirci che il nostro Paese è incamminato lungo questa strada.