Laurea, un colpo a poveri e Sud
Abolire il valore legale sarebbe un grave danno per il Mezzogiorno e per i ceti meno abbienti. Si penalizzerebbe fortemente l’emanicipazione culturale e professionale delle ragazze meridionali
Franco Frabboni
Con molto vigore, gli studenti e i docenti si sono opposti alle leggi della Gelmini che hanno infestato, per un quadriennio, il mondo universitario di un «neoliberismo » incolto e senza futuro. Fortunatamente, sono ben altri i volti - per pulizia morale e sguardo democratico - del premier Mario Monti e del ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. Entrambi hanno ben altra cultura unita a competenza, moralità, buone maniere. Tuttavia, vorrei esprimere alcune riserve sul tema del valore legale del titolo di studio universitario di cui si discute in queste settimane. È positiva la decisione di promuovere una consultazione sulla sua abolizione osul come, viceversa, mantenerlo e qualificarlo. Non condivido però le argomentazioni con le quali si è aperto il dibattito, perché possono accendere una microconflittualità tra sedi universitarie: tra Nord e Sud , tra mega e mini atenei, tra le discipline vicine alla ricerca applicata e quelle umanistiche. Le critiche severe del governo si sono indirizzate alle lobbies accademiche, presenti in Parlamento, che sbarrano la strada alla proposta di abolizione. La requisitoria parte da una diagnosi sicuramente veritiera. Nella prima decade del secolo, il sistema universitario italiano è stato frammentato in un arcipelago grottesco di sedi, sotto-sedi, capanni occasionali di insegnamento mordi-e-fuggi. Uno spettacolo avvilente, mai denunciato con durezza. Anzi, la conferenza dei rettori ha per lo più benedetto l’insediamento di pattuglie d’avanguardia di docenti - alle prime armi - forzatamente consenzienti anche al cospetto di contesti surreali, privi delle condizioni minime per fare insegnamento e ricerca. Attenzione,però.L’arcipelago peninsulare di mega-atenei e di piccole isole accademiche, di virtuose sedi universitarie e di dequalificati contesti accademici, non può venire sommerso da un dispositivo di legge che abroghi il valore legale del titolo di studio. Sarebbe un ordigno a orologeria che potrebbe buttare via con l’acqua sporca (la moltiplicazione abborracciata delle sedi), anche il bambino (le nuove geografie accademiche: il meridione, i ceti a basso reddito, le ragazze, il settore umanistico). Vediamo quali rischi si possono correre decidendo l’annullamento del valore legale della laurea. Intanto si penalizza soprattutto il mondo giovanile del Mezzogiorno. Togliere l’obbligatorietà del titolo di laurea significa che il percorso di studio verrà discrezionalmente apprezzato da chi assumerà i giovani per concorso, per libera contrattazione o per altri motivi. Come criterio discriminante, sarà favorita la sede accademica che rilascia il titolo di studio: la cui autorevolezza (certificata come?) avrà per risultato una scontata valutazione gerarchica. La laurea acquisita in una sede del Nord (meglio se si tratta di un mega ateneo) godrà di un appeal esclusivo per entrare nelle professioni future. La deriva sarà sicuramente questa: la caduta verticale degli studenti del meridione (non dimentichiamo che l’Italia è maglia nera in Europa: solo il 20% dei giovani si laurea, a fronte del 40% auspicato dalla Commissione europea). Parliamo della popolazione di ceto basso e medio: l’altra, la più fortunata economicamente potrà trasferirsi negli atenei del Nord. In secondo luogo l’abolizione del titolo penalizzerà i micro campus. Le classifiche relative all’appeal delle sedi consiglieranno le famiglie a scartare le più vicine e le spingerà a iscrivere i figli nelle macro sedi popolose e accreditate dei capoluoghi regionali. Inoltre con quella scelta si colpisce l’emancipazione culturale e professionale delle ragazze meridionali. È facile prevedere la caduta verticale del mondo femminile nelle aule accademiche, con la catastrofica perdita di un sacrosanto diritto all’emancipazione civile, culturale, esistenziale. Come dire: ghigliottinare il valore legale del titolo di studio porta alla perdita di «frontiere rosa» di cultura e di democrazia che l’Italia non può assolutamente permettersi.❖