La zona incerta intorno al sessanta
di Andrea Bagni
Presidente di una commissione d'esame in una paritaria “laica”... Mi avevano detto Sarà dura, guarda che quello è un vero “diplomificio”, pagano un sacco di soldi e non accettano di essere delusi. Già leggere la documentazione dei candidati era stato incontrare storie di salti mortali notevoli. Tre o quattro le scuole attraversate. Bocciature nei licei bene della città illustre, poi scuole private per fare due anni in uno, di nuovo le statali, altre bocciature, altre private per riportarsi in pari. Sarà per questo che si chiamano paritarie. L'idoneità alla quinta presa da quasi tutti i candidati nello stesso istituto di una città lontana, chissà per quale strano percorso proprietario.
E però anche un bel po' di certificazioni mediche. Storie tristi di ragazzi depressi, affetti da DSA, dislessici: sempre incasinati a scuola, emarginati dalla loro stessa fragilità, scolastica ed extrascolastica. Ammutoliti. Uno strano intreccio di rampolli di famiglie ricche, che non tollerano ritardi nel percorso scolastico né la rinuncia al prestigio del Liceo, e di sfigati/e che la rigidità della scuola e la competizione dei gruppi di pari ha fatto a pezzetti.
E la commissione, un altro notevole disastro. Territorio di guerra e di faticose tregue.
Gli interni conoscono – nell'ultima parte – il percorso di ragazze e ragazzi, ma sono anche quasi tutti precarissimi, compongono gli orari dell'esame con altri lavori e sono, mi sembra, molto sotto ricatto. Se non ottengono la promozione dell'utente-cliente “l'impresa commerciale” (come un dirigente ha chiamato il suo istituto) non sarà gran che soddisfatta di loro. Forse non è nemmeno necessario che glielo dicano esplicitamente.
Gli esterni o arrivano disposti alle peggio cose pur di non avere noie, oppure animati dall'aggressività di chi vuole (giustamente) fare giustizia. In ogni caso devono valutare solo affidandosi alla misurazione delle prove. Che cosa c'è dietro, nella storia del ragazzo o della ragazza, impossibile sapere. E difficile fidarsi di quello che ti viene detto. Tuttavia quel percorso, quella soggettività tortuosa, incasinata, finisce per venire fuori comunque, in un modo o in un altro.
Nella zona grigia un po' sotto il 60, che si riconosca o no, l'oggettività della valutazione mostra tutte le sue crepe. Contano anche le impressioni, l'emozione che ti suscita la ragazza che si rende conto che non sta andando bene e va avanti nell'orale con gli occhi pieni di lacrime; il ragazzo che si arrampica sulle risposte e nasconde teatralmente il non sapere. Ti irritano o ti fanno pena. Ci sono padri che assistono al colloquio, più in crisi e ansiosi del figlio. Negli ultimi giorni stazionano fuori della scuola in attesa dei risultati. Gli dici che è ancora presto e loro aspettano. Ci sono altri padri che non si vedono ma mandano certificati medici e preannunciano ricorsi. Un altro mi sussurra mentre accompagno fuori tutti dopo l'orale, Mi raccomando, lei non sa la vita di questo ragazzo.
E un ragazzo da solo, invece, mi aspetta tutta la mattina fuori dall'istituto per dirmi che è stato bocciato già due volte, ha lavorato la sera per pagarsi la retta super nella scuola dei ricchi, ha il sogno di partire con l'amico che l'aspetta per un altro continente e un'altra vita....
Mi sembra di avere lavorato davvero giorno e notte. Ragazze e ragazzi, commissari imbelviti, verbali da aggiustare per evitare di dover-riaprire-i-pacchi, hanno riempito tutti i miei sogni.
La sensazione è che sia tutto il meccanismo a non funzionare.
Le scuole pubbliche che perdono ancora per strada un sacco di giovani, in una struttura di istituti che è sempre iper gerarchica: le scuole di alto livello per pochi, gli esclusi che vanno in quelle tecniche e da lì in discesa nei professionali. Tutto strutturato sui fallimenti. Fino alla valvola di scarico della formazione professionale. Ha una sua logica, certo, e si fonda su una valutazione dei meriti e delle difficoltà – e però a me sembra sempre troppo facile questo scegliersi gli studenti più adatti e indirizzare gli altri altrove. In basso.
Accanto, complementari, crescono gli istituti di “recupero d'anni” in cui si mescola di tutto, si paga per continuare a essere privilegiati o si fanno sacrifici per proteggere i figli da una collezione di fallimenti che potrebbe segnargli l'anima. E alla fine questo groviglio di storie si mette di fronte all'esame, “oggettivo”. Come fosse semplice, un'operazione meramente tecnica, tirare una riga e fare le somme, senza guardare in faccia nessuno.
Su tutto dominante l'angoscia del tempo. Quest'ansia di recuperare, non perdere il treno delle classi, restare in corsa, riprendere il gruppo. Il tempo biografico massacrato da quello meccanico, lineare, a tappe forzate: prima seconda terza quarta – ammesso, non ammesso, ammesso di nuovo con un bonus, salto alla tappa successiva. Anche i luoghi della formazione, gli spazi comuni, le relazioni con gli altri, segmentati tra una scuola a un'altra, da una città a un'altra - esplosi nella corsa.
E paradossalmente nessuno, adolescenti e famiglie, che mi pare abbia uno straccio di idea di dove vuole arrivare, di dove sta correndo. Infatti, quando finisce una scuola vissuta così, inizia un girare a vuoto in un deserto di passioni, senza utopie concrete, fra università e lavoretti vari. Non si deve perdere tempo comunque.
Alla fine in commissione se n'è parlato di questa angoscia del giudicare, messi di fronte all'ennesimo caso (forse) drammatico. Se n'è parlato ed è stato bene. È stata come una riconciliazione con la difficoltà ma anche l'umanità di un lavoro che si muove dentro storie di vita così complicate. La famosa professionalità docente, forse, è anche questo conoscere i propri limiti, i confini mobili, le frontiere da attraversare. Così nette e così fluide.
Nella zona incerta, heart of darkness, che lega la scuola e il sapere alla soggettività e alla vita umana.
andrea bagni