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La Voce-La fabbrica nazional-locale di professori

La fabbrica nazional-locale di professori Franco Donzelli 24-10-2005 Il disegno di legge sull'università contiene le disposizioni per il reclutamento dei professori. Ne fissa i "principi e cri...

24/10/2005
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La fabbrica nazional-locale di professori
Franco Donzelli
24-10-2005

Il disegno di legge sull'università contiene le disposizioni per il reclutamento dei professori. Ne fissa i "principi e criteri direttivi". Che però sono incoerenti perché discendono dal tentativo di far convivere due orientamenti antitetici. Da un lato, si vuole ricondurre le procedure a una dimensione nazionale. Dall'altro, sopravvivono prescrizioni che assicurano un ruolo autonomo alle singole università. Determinare il numero massimo di soggetti che possono conseguire idoneità diventa un problema matematico irresolubile. Come dimostra un esempio numerico.
Il disegno di legge sull'università, approvato il 29 settembre dal Senato con voto di fiducia, contiene le disposizioni relative al reclutamento dei professori.
Diversamente da quanto accade con la "soppressione" del ruolo dei ricercatori e lo stato giuridico dei professori, il Ddl funge esclusivamente da legge delega. Il comma 5, infatti, delega il Governo ad adottare, entro il termine di sei mesi, opportuni decreti legislativi, per i quali si limita a fissare "principi e criteri direttivi". Il problema principale che si pone a questo proposito risiede proprio nel carattere incoerente e contraddittorio di questi "principi e criteri direttivi"; sicché nessun Governo potrà mai, senza travalicare i limiti della delega, adottare decreti delegati che abbiano qualche speranza di concreta applicabilità.

Nazionale o locale?

L'incoerenza e contraddittorietà dei "principi e criteri direttivi" discende dal tentativo di far convivere all'interno della medesima legge delega due orientamenti antitetici. Da un lato, infatti, il disegno di legge si propone in maniera esplicita di ricondurre le procedure di reclutamento dei professori a una dimensione nazionale, ponendo termine all'esperienza autonomistica inaugurata nel 1998 e fondata su procedure totalmente locali. Dall'altro, tuttavia, sopravvivono in alcuni punti cruciali prescrizioni che tendono ad assicurare un qualche ruolo autonomo alle singole università. Questo secondo orientamento, in realtà, è il frutto avvelenato della travagliata storia del disegno di legge: il carattere locale delle procedure di reclutamento, infatti, ricompare alla Camera, a un certo stadio dell'iter parlamentare, quando inaspettatamente viene approvato un emendamento dell'opposizione, che scardina l'impianto integralmente nazionale e centralizzato delle idoneità previsto dal testo di maggioranza. Ciò che appare incomprensibile è perché, nel proporre al Senato un maxi-emendamento che riformula integralmente il testo del disegno di legge, e sul quale viene chiesta la fiducia, il Governo non abbia ritenuto di eliminare le incoerenze emerse dal convulso andamento delle votazioni alla Camera.
Non si può certo sapere se questa omissione sia dovuta a insipienza, a negligenza, o magari a raffinato, e proprio per questo incomprensibile, calcolo. Sia come sia, il risultato è questo: ogni due anni viene eletta, per ciascun settore scientifico-disciplinare, una "lista di commissari nazionali"; da questo insieme, per "ciascuna valutazione comparativa", vengono sorteggiati cinque commissari che, pur essendo "nazionali", svolgono le proprie funzioni, che conducono alla formulazione di "giudizi idoneativi", presso l'"ateneo ove si espleta la procedura" - comma 5, lettera a), numeri 1), 2) e 3).
Quale sia il fondamento razionale di un simile cervellotico meccanismo, sfugge. Tuttavia, sia pure fra mille difficoltà pratiche, quanto disposto dal Ddl appare fin qui ancora realizzabile.
Quando però si considerino le modalità previste per determinare "il numero massimo di soggetti che possono conseguire l'idoneità scientifica", si vede subito che le procedure stabilite non potranno mai trovare realizzazione. Tale "numero massimo", infatti, dovrebbe essere "pari al fabbisogno, indicato dalle università, incrementato di una quota non superiore al 40 per cento", che però diviene "pari al 100 per cento" per un certo numero di tornate - comma 5, lettera a), numero 1), e lettere d) ed e). Ma non è finita qui: ulteriori quote, rispettivamente del 25, 15 e 1 per cento, sono aggiuntivamente riservate a diversi insiemi di soggetti (alcuni dei quali riesumati dal lontano 1977, anno nel quale dovevano già soddisfare specifici requisiti di cui forse nessuno conserva più memoria), a seconda delle fasce e per diverse durate temporali - comma 5, lettere b) e c).
Tutto ciò, per quanto grottesco, sarebbe ancora realizzabile se le idoneità scientifiche fossero simultaneamente conferite in una medesima procedura espletata a livello nazionale. Ma come è possibile ripartire quote aggiuntive del 40, 25, 15 e 1 per cento fra procedure locali, presso le singole università, ciascuna delle quali ha presumibilmente indicato il fabbisogno di una sola unità per settore e per fascia? Sembra un problema irresolubile.

Un esempio numerico

Per un settore scientifico-disciplinare di dimensioni medie, diciamo con duecento professori per fascia, ci si può aspettare che in media vengano richiesti dalle università dieci nuovi posti per fascia per anno (questo approssimativamente coprirebbe il turnover annuale).
Fissiamo l'attenzione su una fascia, per esempio gli associati. I dieci posti saranno richiesti da dieci diverse università: di solito infatti un'università non richiede più di un posto per fascia per settore per anno.
Il disegno di legge prevede che ogni due anni venga eletta una commissione nazionale per settore, diciamo di trenta persone. Da questo insieme viene poi estratto un sottoinsieme di cinque commissari che svolgono le proprie funzioni localmente, università per università. Qui il Ddl si presta a due interpretazioni: la stessa commissione di cinque componenti passa l'intero anno spostandosi di volta in volta, come un gruppo di clerici vagantes, nelle dieci università che hanno chiesto i posti. Alternativamente, per ciascuna delle dieci università richiedenti viene estratta una diversa commissione di cinque componenti dalla lista di trenta eletti, necessariamente con sovrapposizioni, e ciascuna specifica commissione opera presso una e una sola università. Entrambe le alternative non appaiono molto sensate. Fin qui, però, per quanto improbabile, il disegno di legge non è irrealizzabile. Ma quante sono le idoneità da assegnare? Come vengono concretamente assegnate?
Per quanto riguarda il numero massimo di idoneità, il disegno di legge specifica alcuni coefficienti di maggiorazione rispetto al numero dei posti richiesti dalle università: per la fascia degli associati la maggiorazione prevista a regime è del 40 per cento, ma per le prime quattro tornate (cioè per i primi quattro anni, secondo l'ottimistica previsione del Ddl), la maggiorazione diviene del 100 per cento. A questo si devono aggiungere, sempre per le prime quattro tornate, una maggiorazione del 15 per cento come riserva a favore degli incaricati stabilizzati, degli assistenti e dei ricercatori confermati con tre anni di insegnamento e un'ulteriore maggiorazione dell'1 per cento come riserva a favore di una speciale sottoclasse di tecnici laureati. Allora, per le prime quattro tornate il numero massimo di idoneità conferibili sarebbe pari a 10 * 216% = 21,6, che possiamo approssimare a 22. Per le tornate successive, e quindi per sempre a regime, sarebbe pari a 10 * 140% = 14.
Ma come dovrebbe essere distribuito questo numero massimo fra le varie procedure idoneative? Poiché il disegno di legge prevede che ci siano dieci distinte procedure presso altrettante università, con la stessa commissione giudicatrice itinerante o con commissioni diverse, si porrebbe il problema di fissare un tetto di idoneità procedura per procedura. Una distribuzione egualitaria darebbe luogo a idoneità frazionarie (vogliamo forse dare l'idoneità a una gamba di associato?). Una distribuzione non egualitaria risolverebbe il problema dei numeri interi, ma introdurrebbe elementi di ingiustificato diverso trattamento, inammissibile nelle selezioni pubbliche e impugnabile davanti ai Tar. A prescindere dall'assurdità di tutta la procedura, non vedo come si possa tecnicamente risolvere il problema.
Reclutamento dei professori, definizione di un nuovo stato giuridico e "soppressione" del ruolo dei ricercatori, sono i punti cruciali del disegno di legge. Ma in tutti e tre i casi le soluzioni proposte non appaiono coerenti con gli obiettivi dichiarati o anche soltanto con un qualsiasi obiettivo ben definito. E nessuno dei problemi che affliggono l'università italiana è risolto o avviato a soluzione, anzi qualcuno è aggravato da queste norme. Un magro bilancio per un disegno di legge presentato dai proponenti come "rivoluzionario".


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