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La voce info: IL club degli eccellenti

Sulla stampa è recentemente apparsa la notizia dell'iniziativa dei rettori di dodici atenei, tra cui Bologna, Padova e il Politecnico di Milano, di costituire un'associazione per la qualità delle università. Il progetto è criticabile sia nel metodo che nel merito

26/03/2008
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lavoce.info

di Tullio Jappelli e Fausto Panunzi

Sulla stampa è recentemente apparsa la notizia dell'iniziativa dei rettori di dodici atenei, tra cui Bologna, Padova e il Politecnico di Milano, di costituire un'associazione per la qualità delle università. Il progetto è criticabile sia nel metodo che nel merito: contrariamente alle intenzioni, tende di fatto a creare un club con accesso preferenziale ai fondi ministeriali, piuttosto che indirizzare e incentivare la qualità della ricerca e della didattica.

La stampa ha recentemente riportato la notizia dell’iniziativa dei rettori di dodici atenei di costituire un’associazione per la qualità delle università italiane statali o Aquis. (1) Lo scopo di tale associazione, a quanto si apprende, è migliorare la reputazione internazionale degli atenei pubblici, promuovere la qualità di formazione, ricerca scientifica e organizzazione, proporre strategie per la definizione di obiettivi e programmi comuni con parlamento e governo. Più concretamente, le università che fanno parte dell’associazione battono cassa, e chiedono più risorse in cambio di una maggiore qualità.

LE LUCI

L’Aquis nasce come gruppo aperto ad adesioni di altre università (e infatti il gruppo dei promotori ha già raggiunto quota diciannove), purché essi rispettino i criteri di qualità stabiliti dai proponenti. Ma quali sono i criteri per aderire al gruppo Aquis? Un bilancio che preveda spese per il personale inferiori al 90 per cento del fondo di finanziamento ordinario, la reputazione scientifica misurata dalla presenza in alcuni ranking internazionali (come quello dell’università Jiao Tong di Shangai), e almeno 15mila studenti iscritti.
La fine del finanziamento a pioggia delle università italiane è un obiettivo da condividere. Come è stato più volte ricordato anche su lavoce.info, uno dei problemi principali delle università italiane è l’assoluta mancanza di incentivi rivolti a chi fa scelte virtuose, mirate ad accrescere la qualità della ricerca e della didattica, e la mancata penalizzazione di chi fa scelte che vanno nella direzione opposta. Apprezzabile è anche la rottura del tabù dell’uguaglianza delle università: è giusto riconoscere che non tutte offrono la stessa qualità in termini di ricerca e di didattica.

E LE OMBRE

Ciò detto, l’iniziativa non appare esente da critiche. Innanzitutto per il metodo proposto. L’idea che siano le università stesse a certificare il proprio operato, autoproclamandosi “di qualità” sulla base di indicatori scelti dagli stessi proponenti, è singolare. Molto più opportuno ci sembra il metodo adottato in Gran Bretagna, dove il Research AssessmentExercise (Rae https://www.rae.ac.uk/) valuta periodicamente la qualità della ricerca e dell’offerta didattica di tutte le discipline.Il Rae infatti è un organismo indipendente, nominato dai quattro principali centri di spesa pubblica per l’università in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord.
Anche i criteri scelti dai rettori sono discutibili. Perché il numero di studenti dovrebbe essere un fattore di qualità discriminante? Forse l’idea è quella di escludere le piccole università nate recentemente, la cui qualità della ricerca e della didattica non è sempre elevata. Ma perché dovrebbe essere esclusa da Aquis un’università con poche facoltà (e quindi pochi studenti), ma di qualità elevata, e incluso invece un ateneo con molte facoltà, ma magari di minore qualità? E perché il fatto di avere più fondi disponibili oggi dovrebbe dare diritto ad averne di più anche in futuro?
Vi è poi l’obiezione riguardo a chi debba essere soggetto a valutazione. Supponiamo che un’università risulti eccellente nella ricerca grazie al dipartimento di fisica o di matematica. Perché dei fondi derivanti dal comportamento virtuoso di tali dipartimenti dovrebbero beneficiare anche dipartimenti dello stesso ateneo che non si sono distinti nella ricerca? Molto più logico sembra che la valutazione sia fatta a livello di dipartimento e non di ateneo. A tal proposito, saremmo curiosi di sapere se le università che hanno aderito ad Aquis gestiscono i propri fondi per la ricerca e per il personale in modo da premiare i docenti più impegnati nella ricerca e nella didattica, dando il buon esempio alle altre università. Già oggi i rettori, il senato accademico e il consiglio di amministrazione potrebbero attribuire posti di ricercatore, dottorati di ricerca, assegni di ricerca e i mille altri fondi che si disperdono spesso in tanti rivoli sulla base del punteggio Civrconseguito da ciascun settore disciplinare, promuovendo una selezione di merito al proprio interno e premiando i settori che si sono distinti nella ricerca.
Complessivamente ci sembra che l’iniziativa Aquis abbia più ombre che luci; tende in sostanza a creare un club con accesso preferenziale ai fondi ministeriali, piuttosto che indirizzare e incentivare la qualità della ricerca e della didattica. Sorprende quindi che tra i proponenti vi siano atenei di grande tradizione e prestigio, come Bologna, Padova e i Politecnici di Milano e Torino.

(1) Si veda, ad esempio, https://www.corriere.it/cronache/08_marzo_16/aquis_atenei_elite_0e0d80fe-f32a-11dc-a3d7-0003ba99c667.shtml


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