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La Stampa: Tagli alla scuola, Gelmini bocciata dalla consulta

I giudici: lo Stato non può ridimensionare la rete dell’istruzione, non è di sua competenza

03/07/2009
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La Stampa

FLAVIA AMABILE
ROMA
Sono state otto le regioni a sfidare un mese fa il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini contro i tagli alle scuole. E hanno ottenuto una parziale vittoria: la Corte Costituzionale ha sentenziato che lo Stato, in particolare il ministero dell’Istruzione, non può ridimensionare la rete scolastica sul territorio perché si tratta di una competenza delle Regioni.
E, quindi, sono in parte incostituzionali, e quindi illegittime, alcune norme del decreto sviluppo del giugno 2008, quelle che realizzavano consistenti risparmi di spesa sulla scuola a partire dal prossimo anno scolastico.
Ma il ministro Gelmini chiarisce che nulla cambia, anzi sottolinea come con questa sentenza viene «riconosciuta la legittimità costituzionale dell'impianto complessivo dell'articolo 64 del Dl. 112/2008». L’incostituzionalità rilevata dalla Corte - rileva infatti il ministro - si riferisce a due disposizioni meno rilevanti: «nessuno dei provvedimenti attuativi del menzionato articolo 64 si fonda su di esse» e «in particolare per quel che riguarda il dimensionamento nei piccoli comuni la norma dichiarata incostituzionale risulta superata dall'articolo 3 del Dl. 154/2008. Per quel che riguarda invece criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica si era già proceduto a trovare un accordo nella conferenza Stato-Regioni-Enti locali. Per questo i punti giudicati incostituzionali sono da ritenersi marginali e da tempo superati».
Due, infatti, sono i punti dichiarati incostituzionali dai giudici della Consulta, alle prese con i ricorsi delle Regioni: l’assegnazione al ministero dell’Istruzione del compito di definire «criteri, tempi e modalità per la determinazione e l’articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica»; e il fatto che anche lo Stato, oltre a Regioni ed enti locali, possa «nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti».
Le motivazioni della lunga sentenza (38 pagine), per la prima volta, fissano anche importanti paletti nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni in fatto di istruzione. «Il sistema generale dell’istruzione, per sua stessa natura - scrive la Consulta - riveste carattere nazionale, non essendo ipotizzabile che esso si fondi su una autonoma iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall’osservanza dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili differenziazioni che in nessun caso potrebbero essere giustificabili sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, da un lato, basilari esigenze di uniformità di disciplina della materia su tutto il territorio nazionale, e - aggiungono i giudici - dall’altro, esigenze autonomistiche che, sul piano locale-territoriale, possono trovare soddisfazione mediante l’esercizio di scelte programmatiche e gestionali rilevanti soltanto nell’ambito del territorio di ciascuna Regione».
E’ prudente Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni. «Sembrano confermati gli interrogativi e i problemi che le Regioni avevano sollevato in relazione al dimensionamento della rete scolastica - afferma -. Il ridimensionamento della rete scolastica non si può fare attraverso un regolamento del governo». L’opposizione invece canta vittoria. «È un risultato importante delle regioni - spiega la senatrice Mariangela Bastico, responsabile scuola del Pd - che hanno ottenuto il riconoscimento dalla Corte Costituzionale delle proprie competenze. Il ministro Gelmini non potrà con proprio regolamento imporre la chiusura delle scuole che vedono così salvaguardate soprattutto quelle dei piccoli comuni. È quindi una vittoria dei bambini e delle famiglie che potranno fruire della presenza scolastica anche nei comuni più disagiati. Le regioni hanno tutelato la propria competenza giuridica e insieme la propria cittadinanza. Quest’anno gli 80 milioni di euro che il ministro intendeva realizzare con questi tagli non potranno essere attuati».


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