La Stampa: Sull'università arriva la stangata
Il governo taglia, le tasse saliranno del 20 per cento
RAFFAELLO MASCI
ROMA
Dopo quella della luce e del gas potrebbe arrivare anche una stangatina sulle tasse universitarie, il cui aumento - differente a seconda delle sedi e delle facoltà - potrebbe oscillare tra il 10 e il 20%, come dire tra gli 80 e i 150 euro l’anno in più a studente.
Si tratterebbe di una «scelta sofferta» ma anche «irrinunciabile» da parte dei 67 atenei statali, se mai la manovra economica varata il 25 giugno scorso dovesse passare in Parlamento così come è stata proposta dal governo. Ieri l’assemblea della Crui - la conferenza dei 95 rettori italiani (67 delle statali e 28 delle non statali) - ha votato un documento finale, tanto cauto e misurato nei toni quanto perentorio nei contenuti, con il quale denuncia la pesante crisi finanziaria del sistema universitario, determinata dal «taglio severo» del Fondo di finanziamento ordinario, quello che serve per far fronte alle spese della gestione quotidiana: manutenzione, bollette, pulizie, amministrazione e una quota della spesa per il personale. Il Fondo, pari a circa 7 miliardi l’anno, pesa per quasi i due terzi sul bilancio complessivo del sistema universitario (11 miliardi) e costituisce l’unica entrata certa.
Sottofinanziati
In questi ultimi anni, d’accordo con il governo, i rettori hanno introdotto un sistema di valutazione che consentisse di monitorare il sistema di spesa e soprattutto di rapportarlo ai risultati ottenuti. Lo sforzo di razionalizzare ciò che prima era affidato ad eccessiva discrezionalità è stato compiuto, sia con la Moratti che con Mussi. Tuttavia determinate spese strutturali non sono comprimibili più di tanto, senza mettere in discussione uno standard minimo di qualità. «Il nostro sistema universitario è già largamente sottofinanziato rispetto agli standard europei - ha detto ieri il presidente della Crui, Enrico Decleva -. Ci viene chiesto di sommare l’aumento inevitabile delle spese obbligatorie ai tagli che vengono ora previsti in crescita per cinque anni. L’università non reggerà l’impatto. Una situazione che determinerà inevitabilmente aumenti delle entrate proprie. Ivi comprese le contribuzioni studentesche. Ma che in ogni caso porterà inevitabilmente l’intero sistema universitario pubblico al dissesto».
Insomma - è il senso della protesta dei rettori - o il governo si fa carico almeno della spesa corrente oppure sarà inevitabile mettere le mani nelle tasche degli studenti. Oggi la contribuzione di chi studia varia molto a seconda delle sedi o delle facoltà, ma la media è di 817 euro l’anno, con punte che sforano i 1500 euro, e i tecnici della Crui fanno trapelare che l’incremento potrebbe oscillare tra il 10 e il 20%. Bene che vada, insomma, le famiglie dovrebbero tirare fuori 100 euro in più a figlio.
L’intenzione del governo, in realtà, non è quella di togliere fondi all’università, ma semplicemente di limitare il turn-over, incamerando i risparmi relativi, pari a 1,4 miliardi: ogni cinque pensionati - è il senso della manovra - ne verrà assunto uno. Ma con quali conseguenze per il funzionamento delle università? «La limitazione delle assunzioni di personale a tempo indeterminato al 20% del turn-over - dice ancora il documento della Crui - danneggerà gravemente la funzionalità scientifica e didattica degli atenei. E le prime vittime - si sottolinea - sarebbero i giovani ricercatori, le cui possibilità di ingresso nel sistema universitario verrebbero drasticamente ridotte».
Quanto alla proposta di trasformare le università in fondazioni di diritto privato, la Crui ritiene impensabile «che si possa affrontare responsabilmente un tema centrale e di valenza strategica per la vita del Paese come quello di un’eventuale revisione istituzionale e organizzativa del sistema universitario, sotto la minaccia del suo tracollo annunciato e inevitabile».
«Siamo molto preoccupati - ha concluso Decleva - ma la Crui non considera chiusa la partita». In tale prospettiva l’assemblea ha molto apprezzato l’intenzione del ministro Gelmini di costituire presso il ministero un «Tavolo di consultazione in vista del superamento di alcune criticità di sistema». Una via d’uscita, dunque, è possibile, tant’è che la Crui si attende una revisione della manovra in sede parlamentare, ma lascia anche balenare l’ipotesi di una forte mobilitazione alla ripresa autunnale. Ieri, alla fine dell’assemblea, qualcuno ricordava l’asprezza di un precedente braccio di ferro tra governo di centrodestra e gli atenei: nel 2002, a fronte di un taglio drastico del Fondo ordinario, i rettori si dimisero in massa. L’ipotesi di ripetere il gesto non è remota.