La Stampa: Prof migranti in cerca di promozioni
Ogni anno un insegnante su quattro cambia scuola
RAFFAELLO MASCI
ROMA
Signori genitori con figli a scuola - specialmente voi che abitate in Piemonte, Lombardia, Emilia e Veneto - dite la verità: non ne potete più del balletto di maestri e professori che si ripete ogni anno, per cui vostro figlio in prima ha un insegnante e in seconda un altro, la professoressa di lettere cambia ogni sei mesi e quella di matematica è inafferrabile. In effetti avete ragione: un insegnante su 4 ogni anno cambia sede.
Nessuno vi ha spiegato mai perché tutto questo accada. Ma dato che osservate come una buona fetta degli insegnanti provenga dal Sud (in realtà quelli di ruolo non arrivano al 20%, ma i supplenti meridionali sono tanti), pensate che sia la nostalgia a richiamare ogni anno tanti professori verso Mezzogiorno, innescando quel turn over di cui i vostri figli fanno le spese.
Bene: non è così. È peggio. I professori più giovani sono costretti a fare un giro di valzer tutti gli anni per colpa del sistema di reclutamento e di graduatorie che la macchina ministeriale ha messo insieme. Ma i più vecchi, quelli di ruolo, no. È la Fondazione Agnelli a rilevarlo in uno studio che anticipa il secondo «Rapporto sulla scuola in Italia» che sarà presentato a inizio del nuovo anno. Su 852 mila docenti in forza, 209 mila lo scorso anno hanno cambiato sede. La manfrina comincia tra gennaio e febbraio per avere effetto al settembre successivo. Di questi nomadi dell’insegnamento, 80 mila sono scusati dal fatto di essere «a tempo determinato», cioè precari di varia natura, che non possono scegliersi il posto ma subiscono mestamente gli effetti della graduatoria: questa è la tua posizione e questo è il posto che ti tocca, stop.
Tra questi, in effetti, la trasmigrazione Sud-Nord è consistente, perché negli ultimi dieci anni, per effetto della caduta demografica più o meno bilanciata dall’apporto degli immigrati, al Nord la popolazione studentesca è aumentata del 12% e al Centro del 4%, ma al Sud è crollata del 9%, con la conseguenza che le classi si sono ridotte e la nuova leva di insegnanti, se vuole un posto deve cercarlo a Nord, dove pure si trovano altri laureati e nelle stesse materie, per i quali, però, si aprono opportunità professionali differenti e meglio retribuite della scuola. I «precari» del Sud, dunque, in effetti bussano alle scuole del Nord per poi cercare, magari, di tornare dalle proprie parti.
Ma ci sono ben 120 mila domande di trasferimento - rileva la Fondazione Agnelli - che sono state fatte da insegnanti di ruolo, che un posto ce l’hanno e nessuno li obbliga a spostarsi chissà dove. Di queste domande però, solo 3 mila hanno riguardato un trasferimento Nord-Sud e appena 691 l’hanno ottenuto. Conclusione: se i docenti cambiano sede non è perché vogliono tornare a Sud, tant’è che non ci vanno.
E allora perché? «Perché per l’insegnante italiano - commenta il direttore della Fondazione Andrea Gavosto - l’unica vera progressione professionale è il passaggio in ruolo. La qualità del suo lavoro non è premiata in termini di carriera e gli avanzamenti retributivi sono legati esclusivamente all’anzianità di servizio. Così, in assenza di incentivi formali, gli insegnanti di ruolo si avvalgono in modo esteso di quella che ritengono essere una delle poche possibilità di migliorare le proprie condizioni lavorative: il cambiamento di sede verso la scuola più comoda».
La via d’uscita da questa gabbia sta in una istanza che la Fondazione Agnelli propone da tempo, e cioè la revisione del sistema di reclutamento e l’attivazione di una carriera degli insegnanti fondata sul merito. I docenti, insomma, inseriti in un albo professionale che ne attesti l’idoneità, potrebbero poi essere assunti dalle singole scuole, le quali per mantenerseli potrebbero anche trovare delle forme di incentivazione. «La mera “comodità” di un’altra sede o il suo “maggiore prestigio” - aggiunge Gavosto - a quel punto sarebbero fattori d’attrazione depotenziati. Servono meccanismi che favoriscano il più possibile l’incontro fra domanda e offerta d’insegnanti. Se gli insegnanti devono potere scegliere, nei limiti del ragionevole, la scuola che vogliono, così le scuole devono potere scegliere gli insegnanti di cui hanno bisogno, che non necessariamente sono quelli destinati loro dalle graduatorie».
Il Parlamento, per la verità, sta lavorando intorno a un ddl di questo tenore, presentato a inizio legislatura dalla presidente della commissione Cultura della Camera, Valentina Aprea, ma ci sono fortissime resistenze sindacali a questa ipotesi che - secondo i critici - darebbe un eccessivo potere di assunzione ai presidi. Per cui la riforma del reclutamento langue. E il balletto dei professori continua.