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La Stampa: “Più i ragazzi studiano più il Paese diventa ricco”

Daniele Checchi

07/08/2009
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La Stampa

ARMANDO ZENI

MILANO

Scuola e sviluppo. Qualità dell’istruzione e capacità del paese di crescere proprio grazie alle competenze trasmesse dal sistema scolastico. Un binomio, questo tra scuola ed economia, da sempre considerato inscindibile, spesso e volentieri indicato a supporto di molte recenti riforme varate in Italia dai ministri dell’istruzione, ma che nella realtà stenta a realizzarsi.
«Esiste un dato consolidato, per certi aspetti scontato, che dice che più la gente sta a scuola e più il paese si sviluppa», riassume Daniele Checchi, docente di economia dell’istruzione all’Università Statale di Milano, preside a Scienze politiche, uno dei primi in Italia ad occuparsi della qualità e dell’efficienza del nostro sistema educativo. Intuitivo ma meno confermabile dai dati, il legame tra la qualità dell’istruzione e gli effetti sul prodotto interno lordo. Spiega Checchi, laurea in Bocconi, redattore della Voce, tra gli estensori del Quaderno bianco sulla scuola: «Dati che misurano quantitativamente l’istruzione esistono da più di un decennio anche in Italia, scarseggiano invece i dati sulla qualità della scuola visto che finora sono state compiute solo due indagini, una a metà anni Novanta e una nel 2000».
In America gli economisti Eric Hanusheck e Ludger Woessmann hanno rapportato i risultati sulle competenze scolastiche dei vari paesi con quelli degli Stati Uniti presi come paese di riferimento.
«Hanusheck e Woessmann hanno proiettato nel tempo le variazioni di queste competenze dei sistemi scolastici verificando che incidenza hanno avuto sul Pil senza arrivare però a quantificazioni».
Non c’è una formula magica - crescita dell’x per cento le competenze uguale crescita dell’x per cento dell’economia - ma ci sono ormai molte certezze.
«Lo si può capire meglio con un esempio: oggi in Italia chi studia al Sud esce dalla scuola con competenze inferiori a chi studia al Nord, lo confermano le indagini, ebbene, se è immaginabile che questa disparità esisteva anche trent’anni o quarant’anni fa, ecco spiegato il forte divario economico Nord-Sud».
Riassumendo: il legame tra qualità di scuola e università e l’andamento economico del paese è certo, incerto quantificarlo.
«E’ indiscutibile che la capacità della scuola di formare competenze sia fondamentale per un paese: se passa il principio della qualità e dell’efficacia nel sistema educativo è inevitabile che, a cascata, questo principio passi nel mondo del lavoro».
Ultima domanda, professore: il difetto numero uno, secondo lei, del sistema educativo italiano?
«Manca di comparabilità. Sulla carta offre le medesime possibilità a tutti, sulla carta una laurea conseguita in un’università al Nord ha lo stesso valore di una conseguita al Sud, sulla carta l’iscrizione all’università è aperta a un liceale tanto quanto a uno studente di un istituto professionale. Ma nella realtà chi si laurea al Sud non ottiene sul mercato del lavoro lo stesso riconoscimento economico di chi si laurea al Nord perché le due università danno formazioni diverse e, dati alla mano, all’università si iscrivono quasi tutti i liceali e quasi nessuno che esce da un istituto professionale. Ecco, in Italia resistono troppe dichiarazioni di principio non verificate nella realtà: è ora di cambiare».


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