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La Stampa: “Obbligati a denunciare i clandestini: ci ribelliamo”

«Non è una facoltà. Come pubblici ufficiali saremmo costretti ad avvertire la polizia» I medici pronti a ricorrere alla Corte Costituzionale

12/03/2009
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La Stampa

Per i medici il termine «clandestino» non ha senso. Ci sono soltanto persone malate, bisognose di cure e, soprattutto, c’è la necessità di fare prevenzione per la salute di tutti, sia degli immigrati senza permesso di soggiorno, sia degli italiani con carta d’identità. Per un dovere deontologico, ma anche per rispetto della Costituzione. Così, tutte le sigle sindacali dei camici bianchi impiegati nel Servizio sanitario nazionale dicono no alla norma del ddl sicurezza che vorrebbe trasformarli in delatori. E promettendo di ricorrere, se necessario, alla Corte di giustizia europea e alla Corte Costituzionale.
«Non siamo spie, non siamo fannulloni, non siamo macellai. Siamo medici»: firmano così il loro manifesto. «Prima l'offesa di essere macellai - scrivono - o nella migliore delle ipotesi, fannulloni. Poi gli attacchi alla professione contenuti nella manovra economica e nella legge Brunetta. E ora l'attacco alla nostra stessa dignità e deontologia professionale».
Di recente, qualche politico della maggioranza aveva detto che il medico non avrà l’obbligo di segnalare i casi irregolari, ma semplicemente decadrà il divieto di farlo. «Non è così - ribatte Massimo Cozza, segretario nazionale della Fp Cgil -. Dato che la clandestinità è diventata reato e che noi siamo pubblici ufficiali, se passa questa norma e non facciamo segnalazioni è come se diventassimo clandestini anche noi».
Ricorso alla Consulta, dunque, se la Camera non correggerà il tiro. Lo assicura Carlo Lusenti, segretario nazionale del principale sindacato degli ospedalieri, l’Anaao Assomed, e sottolinea che qualcosa si sta muovendo anche nelle istituzioni. «Non saremmo soli nella protesta - dice -. Qualche Regione ha già annunciato un’iniziativa analoga, visto che la competenza sanitaria non spetta al governo nazionale». I medici chiedono al Parlamento di ritirare l’emendamento. Lusenti e colleghi ribadiscono che si tratta di «una norma insensata, perché non ci guadagnerebbe nessuno: nè l’ordine pubblico, visto che i clandestini non si presenterebbero in ospedale; nè la salute pubblica, dato che si rischia la diffusione di malattie infettive; nè le casse dello Stato che si troverebbero a curare patologie più gravi quando i clandestini, costretti dalla necessità, si rivolgessero finalmente all’ospedale». Per non parlare del canale sanitario parallelo che, senza alcun controllo, si svilupperebbe con l’unico scopo di creare business sulla pelle dei più sfortunati.
I medici denunciano, poi, vari risvolti di incostituzionalità della legge. E’ in contrasto con l’articolo 32 secondo cui «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». L’obbligo di denunciare i clandestini, inoltre, «si discosterebbe dalle norme vigenti nella stragrande maggioranza dei Paesi europei e dalle prescrizioni delle normative comunitarie». E questa è la ragione che muove i sindacati a pensare alla Corte di giustizia europea.
Anche Amedeo Bianco, appena rieletto presidente della Federazione degli ordini medici (Fnomceo) considera l’ emendamento, insieme con il reato di clandestinità «una tenaglia che ci mette davanti a una profonda crisi». Bianco ha annunciato una lettera alle Commissioni della Camera che stanno esaminando il ddl sicurezza, per ribadire il “no” deciso all’equazione «ti curo poi ti consegno».


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