La Stampa: “Noi ricercatori da dieci anni a stipendio zero”
precari dell’Università scendono in piazza “Negli atenei il 70 per cento è senza contratto” La replica del ministro «Avanti a piccoli passi ho chiesto più risorse»
LEGGE CONTESTATA MUSSI NEL MIRINO
Quando
il dottorato
sa di beffa
Quella che prevede il riordino delle facoltà «Già morta in partenza»
I
FLAVIA AMABILE
ROMA
Non erano molti. Anzi, erano davvero pochini rispetto agli abituali numeri dei manifestanti di quest’autunno romano poco clemente con Romano Prodi e con il suo governo. Ma non bisogna farsi ingannare dalle statistiche: i ricercatori e i precari dell’università, conservatori di musica e accademie di belle arti hanno aderito con scioperi in tutt’Italia. A Roma sono scesi in piazza circa un migliaio di loro - secondo le cifre fornite dai sindacati - a chiedere soldi per il rinnovo di contratti scaduti già da tempo.
Non erano in molti a protestare, non avevano il colore e le folle oceaniche di altre manifestazioni ma portavano con sé numeri di tutto rispetto. Il 70% del personale nelle università non è di ruolo, come dire che su dieci persone che lavorano negli atenei solo 3 hanno contratti a tempo indeterminato, gli altri sono precari. O, ancora: sette facoltà su dieci non hanno abbastanza docenti per mandare avanti l’offerta formativa in base alle nuove regole fissate venerdì scorso dal disegno di legge firmato dal ministro per l’Università Fabio Mussi. Il provvedimento prevede - fra l’altro - una riduzione del numero di esami e una coerente riorganizzazione degli insegnamenti, una riduzione del numero complessivo dei corsi di laurea che dovrebbe essere dell’ordine del 20-30%.
«Non entrerà mai in vigore», affermava, sicuro, Andrea Marassi, ricercatore, uno dei mille in piazza ieri. E se anche entrerà in vigore - prosegue citando un’inchiesta condotta dal Sole 24 Ore - «nelle facoltà di sociologia, economia e lettere gli atenei fuori norma sono anche più di nove su dieci». E poi c’è il problema della riforma dei concorsi da ricercatore. «Sono stati bloccati per un anno in attesa di un regolamento sonoramente bocciato dal Consiglio di Stato, tanto per far capire l'inadeguatezza del ministro e del suo staff», conclude Andrea.
Il ministro respinge le critiche. Ai ricercatori e ai lavoratori scesi in piazza ieri risponde con la sua ricetta. Rivendica di aver ottenuto «più risorse per la ricerca e per i giovani ricercatori». Parla di «piccoli passi». «Forse sono insufficienti - ammette - ma sono passi che vanno nella direzione giusta». E ricorda che la qualità della ricerca italiana «non è male. Lo dicono una serie di indagini indipendenti internazionali. I ricercatori italiani sono tra i più produttivi del mondo».
Saranno pure tra i più produttivi questi ricercatori italiani, ma sono anche tra i peggio pagati e i meno valorizzati al mondo. «Il problema del precariato nell’università e negli enti di ricerca ha ormai assunto dimensioni inaccettabili» ha riassunto Enrico Panini segretario generale della Flc-Cgil. Ma anche senza rivolgersi ai sindacati bastava parlare con chi è sceso in piazza ieri per capire che qualcosa non quadrava nelle parole del ministro Mussi.
Uno come Alessandro Arienzo, ad esempio, 33 anni, napoletano, una vita piuttosto complicata da gestire. Di mestiere farebbe il ricercatore precario all’università Federico II in Storia del pensiero politico. Peccato che questo lavoro gli procuri alcune soddisfazioni personali, come insegnare, far parte di un interessante gruppo di ricerca, ma non un centesimo. La sua salvezza è aver vinto una borsa di studio all’Istituto Suor Orsola Benincasa, un’altra università napoletana. Ha intascato 4 mila euro lordi per fare lo studente e seguire fino a febbraio un corso di Filosofia Politica.
Se non si è dei «bamboccioni» con 4 mila euro lordi non si va avanti a lungo. Alessandro infatti per pagare l’affitto di casa, le bollette e il cibo in realtà fa tutt’altro: organizza campi estivi per bambini, fa corsi di formazione per adulti, e il tutor on-line sempre nel campo della formazione. Va avanti così da più o meno dieci anni, è riuscito a pubblicare due monografie e vari articoli, a prendere il dottorato e vincere alcune borse di studio, a trascorrere alcuni periodi in Inghilterra per approfondire i suoi studi sul pensiero politico del Seicento inglese e sulla governance europea che sarebbero la sua specializzazione. Ora si è dato ancora un anno e mezzo di tempo. «Se per la fine del 2008 sarò ancora in questa situazione, lascerò perdere». Niente più ricerca, insomma. «Altrimenti diventerei troppo vecchio per collocarmi nel mondo del lavoro», spiega. E che cosa pensa di fare? «Di tutto. Anche l’operaio, perché no?».
Uno può pensare che questo è quel che accade a chi sceglie indirizzi umanistici o comunque tra il politico e il filosofico. Walter Gaggioli, 37 anni a gennaio, scuote la testa. Lui ha una laurea in ingegneria elettronica e un dottorato in energetica. Qualche possibilità in più dovrebbe averla. Subito dopo il dottorato è entrato in un’azienda con un contratto a tempo determinato. «Poi ho vinto il concorso all’Enea e ho preferito spostarmi sulla ricerca», racconta. Tra un contratto di collaborazione e due contratti a termine rinnovati sono passati sette anni a 1200 euro netti al mese e meno male che l’affitto di casa lo paga ancora il papà. «Dovrei rientrare fra quelli che in base alla Finanziaria 2008 dovrebbero essere stabilizzati alla fine del 2009».
Altrimenti? «Se va male basta con la ricerca, ho alcune offerte di aziende private. Dovrei trasferirmi a Milano, ma non ho alternative». Ti assumerebbero a tempo indeterminato? «All’inizio no, è ovvio. Dopo un po’, se mantengono le promesse...».