La Stampa: Mussi: "E’ vero, nell’Università c’è una questione morale"
La novità «è che gli aspetti truffaldini di questa vicenda hanno finalmente cominciato a venire alla luce»
LUIGI LA SPINA
TORINO
Ministro Mussi, una bufera si è abbattuta sul suo dicastero, quello dell’Università. Da una parte, durante i test d’ammissione, soprattutto a Medicina, sono avvenuti casi clamorosi e gravi di corruzione e di truffa in cui sono coinvolti anche professori e personale amministrativo. Dall’altra, due inammissibili errori nelle domande hanno sollevato proteste e la richiesta di annullamento di tutte le prove, in tutti gli atenei. Infine, è stato messo sotto processo il sistema del numero chiuso, dichiarandolo incompatibile con il diritto alla studio garantito dalla Costituzione.
«Le questioni vanno separate: proprio quando si alza il polverone, occorre mantenere lucidità di giudizio e distinguere i problemi che dobbiamo fronteggiare. Intanto, bisogna dire che questo non è l’anno delle truffe, questo è l’anno in cui si è cominciato a scoprire le truffe. A Bari c’era un sistema di “mercato dei test” probabilmente funzionante da tempo e, ora, è arrivata una denuncia che ha innestato la verifica. Se si proveranno responsabilità di professori, io non avrò pace finchè questi non saranno cacciati dall’università, a parte le conseguenze penali».
Non crede che esista «una questione morale» nell’Università italiana?
«Certo che esiste. Quest’anno si è potuto cominciare a scoperchiare alcune pentole, perchè i rettori, a Bari come a Catanzaro, hanno sentito di poter contare sul sostegno di un ministro che, dall’inizio, ha posto la questione morale, la questione della trasparenza, della legalità come la questione centrale per il governo del sistema. La novità è che gli aspetti truffaldini hanno iniziato a venir fuori».
Perché non ha deciso di annullare tutti i test, ma ha solo chiesto ai rettori di intervenire là dove sono emerse irregolarità e truffe?
«Guardi che, per me, sarebbe stato più comodo annullare tutte le prove. Ma così avrei colpito anche coloro che hanno faticato, che hanno svolto con regolarità e con merito il loro test. Perchè questi tanti giovani bravi, corretti, studiosi dovrebbero essere le vittime dei raggiri altrui?».
Ministro, perché uno studente non può iscriversi al corso di laurea che preferisce? Il numero chiuso non si scontra con il diritto alla studio garantito a tutti dalla nostra Costituzione?
«C’è, innanzi tutto, l’Unione europea che lo impone, per 5 discipline: medicina, odontoiatria, veterinaria, architettura e ingegneria civile. Sono professioni che richiedono una parte pratica, che è ineliminabile dal percorso di studio. Per medicina, ad esempio, ci vogliono malati, ospedali, la possibilità di fare praticantato. Si capisce perchè, per certe professioni, la Ue raccomandi che si programmino i numeri. Negli anni, però, c’è stata una estensione del numero chiuso in tante altre discipline. Vedo che, ora, la destra si è fatta paladina dell’abolizione, ma è proprio durante il loro passato governo che questa tendenza è cresciuta in modo assurdo. Io, lo scorso aprile, ho mandato una lettera ai rettori, invitandoli a ridurre il più possibile il numero chiuso. Così, da quest’anno, sono 160 in meno, cioè il 15% in meno».
Ma questi test, così come sono fatti, servono davvero a selezionare le vocazioni più adatte a quel tipo di laurea?
«Dobbiamo, in effetti, migliorare i sistemi di selezione in modo che l’accesso non sia una lotteria. Già con il decreto del 27 luglio abbiamo modificato sensibilmente i criteri di giudizio, cosicché i risultati degli ultimi tre anni di scuola e quello della maturità divengano quasi determinanti per l’ingresso all’università. Poi, anche i test vanno meglio calibrati sulle materie di effettiva importanza per quella laurea...».
Almeno basterebbe non proporre quesiti sbagliati. Non trova che siano intollerabili due errori su 80 domande?
«Io sono molto, molto arrabbiato per questo. Naturalmente la commissione, una volta insediata, lavora in assoluta riservatezza. Nessuno vede i test prima, nè il ministro, nè i direttori generali. Può scappare la svista, ma due su 80 lo trovo sconcertante. In questo caso, cascano davvero le braccia».
Non sarebbe meglio pubblicare i nomi di questi commissari, invece di lasciarli nell’anonimato, naturalmente a prove concluse? Forse, se sapessero di dover rispondere all’opinione pubblica del loro comportamento, sarebbero meno superficiali nel loro compito.
«Io penso che il principio di responsabilità debba valere e chi fa le cose debba avere il coraggio di ammettere i propri errori e, almeno, di scusarsi. Dal prossimo anno deve cambiare tutto, a partire dalla responsabilità personale di quello che i commissari fanno: ci staranno più attenti e si ridurrà a probabilità frazionali la possibilità di errori. E, poi, bisogna usare sistemi più sofisticati e radicali per la garanzia della segretezza e correttezza delle prove».