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La Stampa_Moratti:La scuola non si tocca

MILANO MINISTRO Letizia Moratti, nelle ultime settimane, sembra finita sull'ultima spiaggia dell'Isola dei Famosi. Sorpresa mille miglia lontana dalla Capitale, in missione a Tokyo, ha detto di non s...

26/11/2004
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La Stampa

MILANO
MINISTRO Letizia Moratti, nelle ultime settimane, sembra finita sull'ultima spiaggia dell'Isola dei Famosi. Sorpresa mille miglia lontana dalla Capitale, in missione a Tokyo, ha detto di non saper nulla dei tagli di spesa al suo ministero, una riduzione del 2% delle risorse nella Finanziaria. Poche ore dopo, mentre si moltiplicavano le inquietudini sulla sorte di 14 mila docenti, ha lanciato il suo messaggio: "Quei tagli non sono accettabili". Ma l'allarme nel mondo della scuola e dell'università non è cessato. Sembra costretta a muoversi in un habitat - tra silenzi, punzecchiature, sciabolate - a lei sempre più ostile. Basti pensare al successo, il 15 novembre, dello sciopero nazionale voluto da Cgil-Cisl e Uil contro la sua riforma. Insomma, ministro Moratti non si sente una naufraga?
"Nel modo più assoluto no. E' chiaro che quando si lavora sulla Finanziaria ci possono essere dei momenti in cui si fanno delle ipotesi tecniche che poi cambiano", risponde persino un po' stupita il ministro dell'Istruzione, uno dei tecnici di punta del governo Berlusconi. E' noto che Letizia Moratti non è tipo da arrendersi facilmente alle critiche e agli ostacoli. Una cosa non riesce però ad accettare: che si parli tanto (al ministero sussurrano che certe notizie sono circolate per scaldare gli animi alla vigilia dello sciopero) per quella che adesso definisce una semplice "ipotesi di lavoro", in altre parole una nota tecnica della ragioneria dello Stato. Nota che, comunque, per lei era "inaccettabile". Lamenta il ministro che, invece, non si parla mai dei risultati ottenuti dal governo. Per esempio, gli accordi internazionali nel settore della ricerca - con reciprocità di fondi - che Moratti ha sottoscritto negli ultimi mesi con alcune tra le più importanti università dal Mit all'università di Harvard, all'università di Tokyo. "Vi rendete conto", attacca il ministro, "che per la prima volta il Giappone investe soldi in un settore avanzatissimo, la robotica umanoide, nei nostri laboratori...".
Sembra di capire che, a suo parere, siamo immersi in un clima di autoflagellazione.
"Non c'è dubbio. Eppure stiamo facendo tante cose importanti. Oltre agli accordi internazionali che portano non solo soldi ma anche grande prestigio al nostro Paese penso ai distretti di alta tecnologia con la messa in comune di risorse tra governo centrale, governi locali, università, centri di ricerca e imprese. Anche se sono appena nati già si vedono i primi risultati; sono davvero uno strumento straordinariamente significativo per creare innovazione di prodotto e occupazione qualificata, insomma un aiuto strategico per la competitività del Paese. Altro esempio. Mercoledì 24 novembre è stato firmato al ministero il primo accordo della Banca europea per gli investimenti (Bei) nel settore delle ricerca: 60 milioni di euro a Sincrotrone Trieste (presidente il professor Carlo Rizzuto, ndr) per il progetto di un laser di nuova generazione".
D'accordo ministro. Però dopo le buone notizie, torniamo alla Finanziaria. Lei dice che il taglio del 2% era solo una delle ipotesi di lavoro. Allora perché è intervenuta così clamorosamente?
"Non ero stata informata; comunque mi consta che non esiste più, neanche come ipotesi....".
Insomma cosa è successo? Al suo ritorno in Italia si è mossa per stoppare quei tagli?
"E' chiaro che mi muovo quando ci sono delle ipotesi allo studio, ma questo è un lavoro quotidiano che fanno i miei tecnici con il ministero dell'Economia e, naturalmente, faccio personalmente con il ministro Siniscalco. Certo che mi sono mossa. Ci mancherebbe altro che non mi muovessi su un'ipotesi di quel genere! Tra l'altro sarebbe stata contraddittoria rispetto a quanto il governo ha più volte dichiarato. Ricordo che il presidente Berlusconi, alla presentazione del Dpf in Parlamento, disse che la scuola non sarebbe stata toccata. Questo è ciò che conta, tutto il resto fa parte del lavoro preparatorio. Sapesse quante volte io stessa mi trovo a dover smentire notizie date come vere e che invece sono solo ipotesi di lavoro fatte a livello tecnico e a me non pervenute".
Insisto: non c'è pericolo che il governo congeli 14 mila docenti?
"Non se ne parla. Ripeto: sarebbe in controtendenza con la politica del governo sulla scuola. In questa Finanziaria la scuola ha già avuto 110 milioni di euro, oltre al 20% d'incremento sul bilancio; non avrebbe senso dare da un lato degli incrementi e, dall'altro, togliere risorse. Gli investimenti del governo nella scuola sono finalizzati a 4 voci ben precise: la generalizzazione della scuola dell'infanzia, la formazione degli insegnanti, l'innalzamento di un anno dell'obbligo scolastico e la lotta alla dispersione scolastica. Questi due ultimi punti sono importantissimi, fanno parte di una delle missioni fondamentali che ci siamo dati anche nella riforma. In Italia siamo sotto la media europea come livello di scolarità, abbiamo bassi livelli di apprendimento e un'alta dispersione scolastica. Siamo, quindi, partiti da questi fattori critici e da un'analisi dello scenario socio-culturale in rapidissima evoluzione in cui la scuola deve muoversi; basti pensare che, nell'Europa allargata, ci sono 150 milioni di semianalfabeti, 7 milioni di giovani che essendo a bassa scolarità rischiano di essere marginalizzati, 53 milioni di lavoratori a rischio per obsolescenza di competenze".
Cifre impressionanti. Una sfida epocale.
"Appunto. E, però, in Europa investiamo sul capitale umano molto meno rispetto a quanto investono gli Stati Uniti. In questo scenario abbiamo cercato d'impostare la riforma non solo per dare risposte alle criticità del nostro sistema scolastico ma anche per dare risposte sociali. Ecco allora l'innalzamento di tre anni dell'obbligo scolastico (da 9 a 12 anni); e la diversificazione dell'offerta formativa, ossia una pluralità di percorsi, per combattere il fenomeno della dispersione scolastica. Grazie agli accordi che abbiamo fatto per corsi triennali con le Regioni e all'innalzamento dell'obbligo scolastico abbiamo già riportato all'interno del sistema scolastico 70 mila nostri ragazzi che non avrebbero avuto né un diploma, né una qualifica, né tantomeno la maturità. E ancora. Abbiamo introdotto nuovi strumenti - dall'informatica all'insegnamento dell'inglese, alla personalizzazione dei percorsi - per offrire più possibilità ai giovani, valorizzare al meglio le loro capacità. La nostra scuola deve diventare una sorta di ammortizzatore delle differenze sociali, perché in Italia la mobilità sociale, ovvero il passaggio da uno status a un altro, è solo del 6%. Una percentuale bassissima rispetto al 20% degli Stati Uniti".
Questa è la sua versione dei fatti, le sue ammirevoli intenzioni. I sindacati della scuola contestano le sue cifre: l'accusano di far confusione e dire bugie. Non solo. Nei loro documenti ricordano che, nel settembre 2003, il presidente Berlusconi promise che avrebbe investito in cinque anni 8.300 milioni di euro nella scuola e per l'attuazione della riforma. "Con questo trend annuale di investimenti", attaccano, "ci vorrebbero altri 81 anni per mantenere quella promessa". Una guerra di cifre fatta sulla pelle di tanti cittadini.
"Ma basta guardare i dati pubblicati sulla 'Gazzetta Ufficiale', non sono dati su cui si possa discutere! Sono pronta a discutere sulla qualità dell'allocazione delle risorse, sulle diverse postazioni di bilancio ma, con tutto il rispetto per il sindacato, non è pensabile mettere in dubbio i dati del bilancio dello Stato italiano. Ora, il bilancio dell'Istruzione - escluse Università e ricerca - è aumentato negli ultimi tre anni di 4 miliardi e 582 milioni; siamo passati da 35 a 40 miliardi di euro in tre anni...".
In questa cifra non ci sono gli aumenti contrattuali dovuti?
"No, nel modo più assoluto. Per altro, in aggiunta agli aumenti del contratto collettivo nazionale dei docenti, abbiamo investito nei due bienni 2002-2003, 2004-2005 circa 780 milioni di euro derivanti da razionalizzazioni ottenute".
Con la guerra delle cifre potremmo andare avanti mesi. Il dato politico è che lei, ministro, è fortemente contestata. Sono solo attacchi corporativi?
"Il ministero dell'Istruzione è sempre stato considerato il più difficile. Da un lato, certo, poteva portare consensi ma gestire un milione di persone non è facile. Ogni cambiamento provoca tensioni, paure: è normale. La scuola però deve essere al servizio degli studenti e delle famiglie, non di altri interessi. E, poi in questi tre anni non solo abbiamo mantenuto gli organici ma, nell'agosto 2001, abbiamo assunto 62 mila tra insegnanti e personale tecnico-amministrativo, altri 15 mila sono stati assunti quest'anno. Risultato: abbiamo ridotto con queste immissioni in ruolo del 30% il precariato. La verità è che quando sono arrivata al ministero c'era un precariato cosiddetto "storico" spaventoso; non si facevano assunzioni da 10 anni, e avevano creato aspettative enormi. La scuola è un mondo complesso, vivace, pulsante, che vive di aggiornamenti continui. Capisco le paure, le resistenze al cambiamento ma non dimentico mai che gestisco i soldi di tutti i cittadini ed è mio dovere risolvere le criticità del sistema, migliorarlo".
Come può pensare d'imporre una riforma senza il dialogo, senza instaurare un clima di serenità con i docenti. Molti professori lamentano di essere ridotti al ruolo di meri esecutori.
"Ci mancherebbe altro! I professori sono i protagonisti della scuola e vanno ulteriormente valorizzati. Noi abbiamo trovato degli stipendi effettivamente bassi rispetto alle medie europee; anche se poi tutto deve essere ritarato rispetto alle ore lavorate che sono inferiori a quelle europee. Gli insegnanti hanno avuto nel biennio 2002-2003 una prima tranche di 147 euro lordi al mese di aumento e, adesso, avranno 413 milioni di euro - oltre al budget previsto per il rinnovo contrattuale - che distribuiremo in accordo con i sindacati. Quanto al dialogo non solo è necessario ma è indispensabile per trovare il punto d'equilibrio della valorizzazione dei docenti nell'interesse degli studenti e delle famiglie. In questo sforzo confesso che con il sindacato abbiamo avuto luci e ombre".
Quali luci, quali ombre?
"Considero molto positivo che insieme ai sindacati abbiamo concordato - è scritto nel contratto nazionale - un percorso per arrivare alla valutazione dei docenti. Ora stanno facendo una verifica con la loro base, quando saranno pronti vedremo insieme come andare avanti. Le ombre? In linea con tutti i principi ispiratori dei Paesi più avanzati dell'area Ocse mi sembrava importante avere un sistema di valutazione dei livelli di apprendimento dei ragazzi per accompagnare il processo di miglioramento. I sindacati hanno detto di no. Allora ho scelto un percorso alternativo: una sperimentazione libera nelle singole scuole. Ebbene, il primo anno hanno aderito 2.800 scuole, il secondo 7.000, il terzo 9.800 e, da quest'anno, la valutazione è diventata legge. Non c'è stata nessuna protesta, nessuna opposizione. E' solo un esempio per spiegare come alcune volte c'è un freno all'innovazione mentre le singole scuole sono pronte ad accettare il cambiamento, pronte alle sfide".
Torniamo alla Finanziaria. Si è parlato anche di tagli all'Università per 600 milioni di euro. Falso?
"Nessun taglio anzi un incremento: tra Università ed enti di ricerca in Finanziaria c'è stato un aumento sul bilancio di 141 milioni di euro. Il punto però è che queste risorse non sono sufficienti ad allineare il nostro sistema universitario, dal punto di vista dei finanziamenti, alle medie europee. Investiamo ancora troppo poco nell'istruzione e nella formazione superiore. Non si può dimenticare che oltre il 50 % della ricerca viene fatta all'interno dell'Università: occorrono investimenti maggiori rispetto a quelli ottenuti".
Prevede altri ostacoli?
"Finché la manovra non è definita non mi sento di fare anticipazioni. Posso dire che, nel momento in cui insieme alla riduzione delle tasse è stata indicata, come tema chiave della manovra, la competitività è chiaro che ciò significa investimenti nel capitale umano, nella ricerca".
Un'accusa ricorrente che le viene rivolta è quella di voler gestire l'Università come una qualsiasi fabbrica. Come ribatte?
"Se per gestione manageriale s'intende gestione corretta del denaro pubblico sono contenta di avere questa visione. Se, invece, c'è il timore che l'Università non possa essere libera nell'insegnamento è un timore assolutamente infondato. Mesi fa all'Accademia dei Lincei ho firmato una sorta di carta dei principi; l'autonomia dell'università è uno dei concetti base che noi vorremmo rafforzare. Devo aggiungere però che esistono nel mondo universitario retaggi culturali, visioni sorpassate. Il ruolo dell'Università non si esaurisce nell'insegnamento e nella ricerca può andare oltre e come in altri Paesi rafforzare i legami con il mondo produttivo per aiutarlo, attraverso la ricerca, a essere più competitivo. Faccio anche in questo caso un solo esempio: pochi giorni fa in Arizona ho inaugurato il più grande e potente telescopio del mondo. Ebbene è stato il professor Paolo Mantegazza dell'università Statale di Milano a scoprire come farlo e a realizzarlo è stata una piccola impresa di Bolzano che ha battuto concorrenti di tutto il mondo. Insomma, è un falso problema dire che se l'Università ha rapporti stretti con l'industria non è più libera; al contrario per progredire scientificamente deve saper collaborare al meglio con le imprese".
Ministro, lei sostiene di ricevere non solo critiche ma anche molti attestati di solidarietà. Non ha nulla da rimproverarsi?
"Tutti i giorni mi pongo il problema di cosa non sono riuscita a fare, di quali risposte inadeguate ho dato. Per correttezza lasciatemi però ricordare da dove sono partita: ho trovato molte esperienze positive ma anche problemi immensi. Alcuni li abbiamo eliminati, altri solo parzialmente, altri ancora permangono. Del resto, i processi di riforma della scuola sono molto lunghi e i risultati si vedono dopo molti anni. Mi creda, ogni giorno, cerco di capire se devo modificare qualche decisione. Non a caso anche nella riforma ho previsto che, dopo 18 mesi, si sarebbe fatta un'analisi per individuare gli aspetti positivi e quelli negativi e poi, eventualmente, rivedere la legge".


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