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La Stampa: Le Università: borsisti a casa

Gli atenei l’anno prossimo taglieranno corsi di laurea e ridurranno gli insegnamenti. Al «Poli» gli assegnisti a fine corsa sono 390.

30/05/2009
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La Stampa

Spietato chiedere a una ricercatrice universitaria di 34 anni, precaria da quasi dieci, di insegnare gratis. Ma le casse sono vuote, non c’è alternativa: chiudere il corso o tenerlo in vita a costo zero. Francesca Filippi, ricercatrice in Storia dell’Architettura al Politecnico di Torino, ha accettato, ma rischia di restare senza lavoro, perché i suoi otto anni da assegnista di ricerca sono finiti. Ora le opzioni sono due: stabilizzarla, anche a tempo determinato, o lasciarla a casa.

La strada è tracciata. Gli atenei l’anno prossimo taglieranno corsi di laurea e ridurranno gli insegnamenti. Al «Poli» gli assegnisti a fine corsa sono 390. Se non verranno assunti, si troveranno a casa: «Non ci sono soldi. I dipartimenti non riescono a tenere i precari. Solo quelli che hanno stipulato contratti di ricerca con aziende private si salvano. Ma, al massimo, ti offrono un co.co.co. o una delle altre 16 forme di lavoro atipico presenti negli atenei». Il che significa passare però da para-subordinato a collaboratore esterno.

Il Politecnico è uno dei primi atenei alle prese con l’ondata dei precari in scadenza. Una legge del 2000 stabilisce che gli anni di dottorato e assegno di ricerca non possano essere più di otto. Se nel frattempo non si è vinto un concorso si va a casa. Al «Poli» sono in 390 a rischiare. «E i posti da ricercatore previsti nel 2010 sono 30», spiega Rino Lamonaca della Flc-Cgil.

Tutte le università si troveranno a fare i conti con il futuro dei loro assegnisti. All’Università di Torino si parla di almeno 700 persone in bilico. «Si rischia il blocco generazionale», analizza Claudio Branchi, della Rete nazionale precari. Lavora all’Università di Napoli Orientale, dove gli atipici che potrebbero essere rispediti a casa sono 100. Alla Federico II, sempre Napoli, sono 500. Aggiungendo Roma, Milano, Siena, Messina, Catania e quasi tutti gli atenei italiani c’è chi stima che si arrivi a più di diecimila.


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