La Stampa-Le buone maniere finiscono sulla pagella
Le buone maniere finiscono sulla pagella "A casa i bambini non imparano più neppure l'abc dell'educazione" Sibilla della Gherardesca: sanno tutto, ma ignorano come si mangia "Abbiamo rifiuta...
Le buone maniere finiscono sulla pagella
"A casa i bambini non imparano più neppure l'abc dell'educazione"
Sibilla della Gherardesca: sanno tutto, ma ignorano come si mangia
"Abbiamo rifiutato
le regole dei nostri padri
ma ci siamo dimenticati
di inventarne di nuove"
L'esperta italiana
"Mi chiedono di tutto
A chi cedere il passo?
Come presentarsi?"
Marina Verna
Lezione di buone maniere un'ora alla settimana per sei mesi, con obbligo di frequenza per tutti. Accade da settembre in una scuola media di Brema, dove il preside - esasperato dalla villania imperante - ha deciso di ripristinare civili regole di convivenza cominciando dall'abc dell'educazione: salutare l'insegnante quando entra in classe; lasciar parlare fino alla fine chi ha preso la parola; bussare prima di entrare in sala professori; vestirsi in modo decoroso, non dire parolacce, non spintonare i compagni appena se ne presenta l'occasione. "Tutti gesti che dovrebbero essere ovvii - spiega il preside, Karl Witte - ma spesso non lo sono affatto: a casa i ragazzi non imparano neppure le basi della convivenza civile, a scuola assimilano il peggio l'uno dell'altro".
Forse ci voleva un preside tedesco per osare l'inosabile. Il successo è però tale che l'esperimento verrà ripreso anche altrove. I genitori - vincendo o ignorando i sensi di colpa, ché viene loro costantemente ricordato che "l'educazione si impara in famiglia" - sono soddisfatti, perché la comprensione di che cosa significhi "rispetto per gli altri" migliora il clima anche a casa. "Ai ragazzi spieghiamo che le buone maniere non sono un vuoto formalismo - continua Witte -, che quelli che sembrano vecchi rituali servono a rendere le relazioni tra le persone più facili e più amichevoli". Scoperto il senso dei gesti cortesi, tutto diventa più facile da apprendere e coltivare.
Ma se è facile capire che in ascensore si saluta e non si fuma, che a casa si tengono musica e tv a basso volume per non disturbare i vicini, che i cani si tengono al guinzaglio e se ne puliscono le cacche e agli adulti sconosciuti non si dà del "tu" ma del "lei", più difficile è addentrarsi negli arcani del comportamento a tavola. A Brema le lezioni si tengono in mensa all'ora del pranzo e sono una grande tortura, oltre che un enigma. Perché non si deve mettere il gomito sul tavolo né usare gli stuzzicadenti? Perché le posate devono stare sul piatto e non con i manici appoggiati alla tovaglia? Perché il cibo va portato alla bocca e non la bocca al cibo?
Imparare l'etichetta è diventato un valore anche per i genitori che, cresciuti sprezzando l'autorità e le sue forme, adesso che vorrebbero - e soprattutto dovrebbero, in molte occasioni sociali e di lavoro - comportarsi in modo educato, si ritrovano ignari dei codici. Dice Willi Lemke, un ex rivoluzionario oggi senatore socialdemocratico a Brema: "Abbiamo rifiutato il galateo dei nostri genitori senza costruire nuove forme di buone maniere. Per questo oggi c'è in giro tanta nostalgia delle buone regole antiche. Io ne sono un esempio: pretendo da mia figlia, che ha otto anni, che quando al mattino compare in cucina per la colazione saluti., cosa che io mi sono sempre rifiutato di fare. E mi adopero perché le ragazze la smettano di andare in classe con l'ombelico in bella vista".
E in Italia? "I genitori in genere si disinteressano dell'educazione formale. Non ci sono neanche più i luoghi deputati a trasmetterla, come i pasti consumati in famiglia tutti insieme. Invece sono i ragazzi che, a una certa età, si accorgono di averne un gran bisogno. Frequentano l'università, vanno all'estero, ma non sanno comportarsi. Prima o poi arriva il momento in cui se ne rendono conto, e allora cercano di rimediare", dice Sibilla della Gherardesca, signora di antica nobiltà fiorentina, autrice del fortunato galateo "Non si dice piacere".
Un giorno la Facoltà di scienze politiche di Firenze la invitò a tenere una lezione di etichetta, ma lei non voleva andare, "perché non ci credevo, che non sapessero come comportarsi. E invece era proprio così, erano interessatissimi, hanno chiesto di tutto: a chi cedere il passo, come presentarsi, quando sedersi, come fare un biglietto da visita, se davvero le signore non si possono servire di acqua e vino da sole". Da allora ha organizzato decine di seminari, rivolti soprattutto ai dirigenti: "Ci sono aziende lungimiranti che curano anche questo aspetto dei loro dipendenti. Hanno capito quanto sia spiacevole vedere persone preparatissime nel loro campo scivolare sulla buccia di banana del comportamento. E sono rassegnate al fatto che le generazioni cresciute con questa televisione spa-ven-to-sa considerano normale il torpiloquio e non il baciamano".