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La Stampa-LA POESIA ESPULSA DALLA SCUOLA

NESSUNO LA INSEGNA PIU' LA POESIA ESPULSA DALLA SCUOLA Marco Belpoliti MARGHERITA ha dieci anni. Mercoledì entrerà in quinta, ultimo anno delle elementari. E' una bambina vivace e tuttav...

07/09/2004
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La Stampa

NESSUNO LA INSEGNA PIU'

LA POESIA ESPULSA DALLA SCUOLA

Marco Belpoliti
MARGHERITA ha dieci anni. Mercoledì entrerà in quinta, ultimo anno delle elementari. E' una bambina vivace e tuttavia studiosa. Fa ancora qualche errore d'ortografia, ma sempre nella media. Nei quattro anni trascorsi a scuola ha imparato l'italiano senza mai leggere nessuno dei nostri poeti o prosatori. Niente Leopardi o Pascoli, niente Carducci o Montale, niente Calvino o Elsa Morante; non ha mai letto neppure una filastrocca di Gianni Rodari. Margherita ha imparato la lingua italiana, e le sue regole, studiando sulle fotocopie e riempiendo schede. La sua è infatti la scuola delle tre C: capacità, conoscenze, competenze. Ovvero, una scuola che insegna la lingua italiana senza passare attraverso i suoi classici, non solo quelli del passato, anche i classici del presente. Come è possibile? Come può accadere d'imparare la lingua italiana senza aver mandato a memoria, o almeno letto, un verso del poeta di Recanati? La letteratura ha smesso da qualche decennio di essere una delle vie maestre attraverso cui si conosce il mondo, s'apprendono valori, ci si istruisce sui codici di comportamento, s'impara a immaginare, oltre che a leggere e scrivere. Le parole dei padri, e delle madri, della nostra lingua non fanno più parte dei programmi.
Certo, la generazione a cui appartengono le insegnanti di Margherita era stufa delle cavalline, dei passeri solitari, del meriggiare pallido e assorto, voleva farla finita con il vecchiume della scuola dalla matita rossa e blu. È comprensibile, però anche allo svecchiamento c'è un limite. Le parole degli scrittori e dei poeti c'insegnano la lingua meglio delle frasi delle schede. È come se, per addestrare a usare Internet, la scuola rinunciasse a insegnare matematica. Futuro e passato sono entrambi necessari. Un decennio fa, il Premio Nobel Josif Brodsky spiegò agli studenti del Michigan che non avere cura del proprio vocabolario era pericoloso in termini personali. Quando "l'espressione resta indietro rispetto all'esperienza" la psiche ne risente: "Sentimenti, sfumature, idee, percezioni che rimangono senza nome, incapaci di articolarsi e frustrate dalle approssimazioni, finiscono represse, soffocate dentro l'individuo". Maestre e maestri, per il bene dei nostri bambini e della nostra lingua, per favore, tornate alle parole dei classici!


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