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RAFFAELLO MASCI
ROMA
E’ in arrivo il «liceo breve», cioè una scuola superiore di quattro anni anziché di cinque, da concludersi a 18 anni di età e non più a 19. Come accade negli altri paesi europei. E’ un’ipotesi di cui si parla dal ‘96, tempi del ministro Luigi Berlinguer, e che i sindacati della scuola troveranno nel «Piano di razionalizzazione» che il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, presenterà loro venerdì prossimo.
Il documento - anticipato ieri dalla newsletter di Tuttoscuola.com e confermato da fonti ministeriali - contiene una ricca agenda di temi: dal ritorno dell’iscrizione anticipata alla scuola d’infanzia fino alla riduzione delle ore di lezione nei professionali, dalla riforma delle classi di concorso per gli insegnanti fino alla riduzione degli indirizzi scolastici. Per il «liceo breve», attualmente in fase di studio, il governo potrebbe approntare un apposito disegno di legge, mentre per le altre misure basteranno provvedimenti amministrativi.
Scuola d’infanzia
L’iscrizione, invece che a tre anni, potrà essere anticipata a due. Lo aveva già previsto la Moratti ma la finanziaria Prodi del 2007 aveva sospeso questa possibilità che ora verrà ripristinata. Affinché però la proposta non vada a impattare contro la mancanza di posti negli asili, restano in vita anche le «classi primavera» gestite dalle regioni, sempre per i bambini di due e tre anni.
Maestro
La Gelmini confermerà il ritorno del maestro unico nelle scuole che faranno l’orario base di 24 ore settimanali, ma gli insegnanti saranno di più per il tempo pieno, sia pur con una figura di riferimento detta «maestro prevalente».
Con questo nome si intendono quelle scuole in cui un unico preside governa l’interno percorso dalle materne fino alle medie. L’idea è quella di estendere il più possibile questo modello in quanto comporta, oltre a una continuità didattica, anche un serio risparmio di presidi e personale non docente.
Senza dire che l’accorpamento in istituti comprensivi consentirà di mettere ordine nella quantità di scuole e scuolette. Infatti, elementari e medie, dato che si rivolgono allo stesso pubblico, dovrebbero essere di pari numero, invece le prime sono più del doppio delle seconde, con 10 mila sedi che hanno meno di 50 alunni e 3.400 pluriclassi (cioè con bambini che frequentano classi differenti). L'ipotesi ministeriale è quella di una revisione della rete scolastica che permetta di lasciare in attività le piccole scuole solo se servono effettivamente aree svantaggiate (piccole isole o aree montane), accorpando invece le altre. Questo comporterebbe, secondo un primo calcolo, la riduzione di 4.200 sedi scolastiche, con un risparmio a regime molto rilevante, considerando che ogni piccola scuola costa tra i 150 e i 180 mila euro l’anno.
Gli orari
Negli istituti tecnici e professionali l’orario delle lezione dovrebbe passare da 36 a 32 ore settimanali, come già suggerito dalla commissione ministeriale nominata appositamente dall’ex ministro Beppe Fioroni. Bisognerà decidere, poi, se la riforma Moratti, che per le superiori partirà da settembre 2009, potrà essere applicata da subito anche agli istituti professionali, dato che su questi ultimi c’è una giurisdizione mista di ministero e regioni.
Meno indirizzi
Alla domanda «che cosa vuoi studiare dopo la terza media?» un ragazzo oggi può rispondere in 912 modi diversi. Un elenco troppo lungo, pletorico e spesso pieno di doppioni (esempio: istituto tecnico commerciale e istituto professionale per il commercio) che confondono l’utenza senza apportare valore aggiunto. Il ministero vuole razionalizzare. Anche questa materia dovrà essere discussa con le regioni. L’ipotesi Moratti dei «poli tecnologici» in cui far confluire tecnici e professionali potrebbe essere ripescata.
Caos per le materie
La questione è molto tecnica, ma dice tutto sulla farraginosità della scuola. Ogni docente insegna la propria disciplina, ovviamente, ma con specificazioni e accorpamenti diversi a seconda del tipo di scuola. Esempio: un docente di lettere può insegnare italiano e latino, italiano e storia, latino e greco, italiano e greco, italiano storia e geografia, eccetera.
Ciascuna di queste classificazioni costituisce una «classe di concorso»: un professore, cioè, fa un concorso per insegnare uno di questi gruppi di discipline e non un altro. Il risultato è un disastro, perché le «classi di concorso» sono diventate ormai 622 e la gestione del personale scolastico privata della pur minima flessibilità. La materia verrà riformata.
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