La Stampa: La buona scuola? Rigore e buonsenso
John Elkann: Sprechi e mediocrità veri nemici da battere. Gli insegnanti «Devono recuperare lo status connesso alla professione: nella selezione l’anzianità non è tutto». I presidi «Spetta a loro il giudizio qualitativo: purtroppo in Italia non sappiamo né punire né premiare»
La scuola italiana può essere salvata da un'unica riforma: quella del buonsenso. È il segnale lanciato dal «Rapporto sulla scuola in Italia 2009» a cura della Fondazione Agnelli, che John Elkann presenta oggi a Roma presso l'editore Laterza e del quale ha scritto la prefazione. Un messaggio che suona rivoluzionario in un Paese come il nostro, che anche nella scuola ha sempre privilegiato l'ideologia al pragmatismo e si è agitato molto per potersi muovere il meno possibile.
Ingegner Elkann, come mai un libro sulla scuola?
«La Fondazione si è sempre occupata di temi sociali. Ma abbiamo pensato fosse giusto che si concentrasse su un solo obiettivo, per cercare di aumentare l'impatto della sua azione».
Ma perché proprio la scuola?
«Perché occuparsi di scuola è occuparsi del futuro».
Il futuro sembra non interessare molto, di questi tempi.
«Invece è nei passaggi di crisi che bisogna pensarci di più. A me interessa per una ragione generale e una personale. La ragione generale è che più persone preparate hai, più possibilità ci sono che il tuo Paese risolva i suoi problemi. Poi c'è un motivo più intimo: ho due bambini piccoli. Penso al loro avvenire. Anche se cambiare la scuola in profondità è un lavoro che richiederà tempi lunghi. Diciamo che ne beneficeranno più i nipotini che i figli».
Che esperienza ha della scuola italiana?
«Fino all'università ho studiato all'estero. Inghilterra, Brasile, Francia. Sempre scuola francese. Mi piaceva la storia, ma avevo un'attitudine per le materie scientifiche. Per mia fortuna nel sistema francese erano quelle che contavano di più».
In Italia, invece.
«Da questo punto di vista l'Italia è un dramma».
Altre differenze?
«All'estero si cura di più l'educazione civica».
Da noi è delegata al Grande Fratello.
«I ragazzi sarebbero ben contenti di imparare. Ma spesso chi deve istruirli ed educarli, in famiglia e a scuola, non lo fa. E non facendolo, lascia spazio alla tv. Bisogna appassionarli alla conoscenza. A un certo punto della vita quei ragazzi scopriranno che l'ignoranza li rende infelici».
Però non si può neanche lasciar decidere a loro cosa studiare, come fanno certe scuole affamate di iscrizioni.
«Al liceo, in Francia, avevo un professore di storia che ogni volta ci chiedeva: preferite la lezione o un dibattito? Noi ovviamente sceglievamo sempre il dibattito... ma alla lunga era noioso».
Che effetto le hanno fatto le proteste dell'Onda contro la Gelmini?
«Al di là delle idee che propugnano, questi movimenti sono occasioni per costruirsi una propria identità, insieme ad altri. E anche occasioni per dialogare».
Ma sulla scuola non si è dialogato anche troppo? Tante riforme, nessuna riforma.
«Nel Rapporto scriviamo che bisogna ripartire dalla valorizzazione degli insegnanti. Servono incentivi economici, ma non solo. Gli insegnanti devono recuperare lo status sociale che in passato era connesso alla loro professione. Un modo per riuscirci consiste nel selezionarli in base al merito e non all'anzianità».
Ma qual è il criterio giusto per misurare il merito?
«Il merito è importante. Purtroppo in Italia non sappiamo né punire né premiare. Ma le valutazioni non possono essere solo quantitative. C'è anche un giudizio qualitativo».
E a chi spetta il compito di giudicare?
«Ai presidi. Si può dar voce ai ragazzi e ai genitori, ma la responsabilità è del preside».
Molti finiscono per mandare i figli là dove studiare è meno faticoso. Non servirebbe una scuola anche per i genitori?
«È vero che tanti guardano alle loro esigenze, per esempio al sabato libero. Ma non bisogna essere troppo rigidi. Lo stile di vita è cambiato e le regole della scuola vanno adeguate. Senza "svaccare", ecco il punto. Bisogna trovare un equilibrio».
In base a cosa sceglierà la scuola per i suoi figli?
«Fra qualità dell'ambiente e qualità dell'insegnante, privilegerò sempre l'insegnante».
Lamento di molti prof: i ragazzi non ci rispettano più.
«Prima del Sessantotto la scuola era autoritaria, ma dopo ha smesso di essere autorevole e questo non va bene. Il pendolo si deve fermare nel mezzo. E vale anche per i genitori, che devono rispettare gli insegnanti».
Qual è stata la figura più autorevole nella sua vita di studente?
«La mia maestra delle elementari. Maestra unica, quindi sempre con noi. Si chiamava Nicole. Era anziana, ma forse non lo era. E' che a quell'età tutti gli adulti ti sembrano così. Era autorevole, ma non autoritaria».
Voto in condotta?
«Non ce l'avevamo. Però i castighi non sono mancati. "Au piquet", diceva la signora Nicole. E si finiva all'angolo, con la faccia rivolta verso il muro, magari per aver chiacchierato troppo».
Sia pure da una posizione privilegiata, lei sa cosa vuol dire studiare in scuole lontane dal Paese di origine.
«La scuola deve riuscire a integrare: è un imperativo civile e sociale. Ma questo non significa deprimere i migliori talenti. Il nemico da combattere è la mediocrità. La scuola deve portare su chi ce la fa, però non può nemmeno abbandonare gli altri, perché essere esclusi genera comunque frustrazione. Bisogna selezionare classi più omogenee: non socialmente o culturalmente, ma in base alla qualità scolastica».
Ma così facendo non si rischia una scuola per soli ricchi?
«No. La selezione va fatta in base al merito e non al reddito. E poi attenzione: la scuola non serve solo a trovare un lavoro. Serve a educarti e a permetterti di evolvere come individuo. La felicità di una persona non dipende soltanto dalle sue capacità di spesa».
Il Rapporto denuncia lo stato disastroso dell'istruzione al Sud.
«Sono problemi secolari, di cui la scuola è un derivato, non la causa. La scuola può aiutare a ridurre il divario, ma non mi faccio troppe illusioni. Il rischio è che il divario - certificato da tutte le ricerche internazionali - aumenti invece di diminuire. Spesso manca la percezione esatta di questa differenza e quindi anche del pericolo».
C'è un problema di fondi. Non è masochista tagliare le risorse all'istruzione?
«Attenzione alla demagogia. Le risorse sono limitate per definizione. Il problema quindi non è aumentarle, ma usarle meglio. Per quanto ci si concentri a ridurli, di sprechi ne esisteranno sempre troppi».
I privati però possono dare una mano.
«Grazie a molti soggetti italiani, fra cui la Fondazione Agnelli, a Torino nascerà una scuola di eccellenza per valorizzare i migliori laureati in campo scientifico e tecnologico, collegandoli direttamente alle imprese. E' un'esperienza già avviata in Germania e Francia, che siamo contenti di portare in Italia».