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La Stampa: In classe come al fronte, 100 mila feriti ogni anno

Scontro sui fondi Il ministero: «Stanziati 300 milioni di euro» Ma i sindacati: «Ne sono arrivati 20»

23/11/2008
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La Stampa

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Hai un bel parlare di programmi, didattica, laboratori, quando la prima urgenza è scansare i pezzi di calcinacci che ti cadono addosso dal soffitto, le piastrelle sconnesse o i cavi elettrici scoperti. La scuola è a pezzi, nel senso che gli edifici si sgretolano, sono a rischio (tre su quattro per il Codacons), fuori norma, mancano dei certificati stabiliti dalle leggi e avrebbero bisogno di una raffica di manutenzioni non ordinarie, ma straordinarie, se solo ci fossero i soldi.

La conseguenza è che in classe si muore. O ci si fa male: contusioni, lussazioni, fratture, addirittura amputazioni. Nel 2007, secondo i dati dell’Inail, oltre 90 mila studenti e 13 mila insegnanti hanno subìto un infortunio all’interno degli edifici. Sette anni prima la musica non era poi così diversa, ma i numeri erano inferiori, e non di poco: 82 mila studenti e 5 mila docenti. Significa che dal 2000 a oggi i casi sono cresciuti del 18 per cento.

Di chi è la colpa? Probabilmente dell’incuria, se più della metà degli edifici è sprovvisto di un certificato di agibilità statica e il 36 per cento non ha gli impianti elettrici a norma. Mancano le norme di sicurezza di base: molte scuole, in tutto il paese, non dovrebbero nemmeno essere aperte. Mancano le agibilità sanitarie, i certificati di prevenzione degli incendi, le misure di evacuazione in caso di pericolo. E il personale non riceve istruzioni per fronteggiare l’emergenza. Fino a due anni fa si è andati avanti a suon di proroghe. L’ultima è scaduta nel 2006, ma il ritornello non è cambiato. Mancano i soldi: ci sono più di mille richieste di interventi nelle scuole; 500 sono state approvate, appena cento hanno ricevuto il finanziamento necessario.

Forse è anche una questione di età. Le scuole sono vecchie: appena il cinque per cento degli edifici è stato costruito dopo il 1990, mentre il 45 per cento è datato prima del 1965. Vecchie e senza manutenzione: così è un progressivo deteriorarsi delle strutture. Un edificio su due, nell’ultimo quinquennio, ha subìto un lifting, manutenzione straordinaria; peccato che il 33 per cento sia ancora in attesa. E, indicano i dati del ministero, si tratta di un intervento «urgente». Non abbastanza, a quanto pare. E così, mentre i presidi aspettano un segnale, nel 20 per cento delle scuole si verificano crolli d’intonaco.

Non è finita: una scuola su dieci è nata per essere tutt’altro, dalle caserme ai seminari. Gli studenti sono arrivati solo in un secondo momento e gli edifici sono stati riadattati. Ora, decenni di soluzioni improvvisate presentano il conto. «Quel che è successo a Rivoli potrebbe accadere in molte altre città italiane», racconta il segretario della Flc-Cgil Domenico Pantaleo. «Qualsiasi progetto di riforma deve partire dall’edilizia, perché una scuola di alta qualità dentro edifici che non sono a norma è un controsenso».

Aggiuge Carlo Rienzi, presidente Codacons: «Si tratta di una tragedia annunciata: infatti il 75% degli istituti scolastici presenti sul nostro territorio non è sicuro poichè mancano diversi certificati previsti dalla legge.

Peccato che negli ultimi anni i fondi per l’edilizia scolastica siano stati tagliati. Per il triennio 2007-2009 sono stati stanziati 250 milioni; 150 già erogati, gli ultimi 100 arriveranno nel 2009. Ieri il ministro Gelmini ha parlato di 300 milioni per la sicurezza scolastica che hanno ricevuto il via libera del governo. «Sono quelli del triennio 2007-2009, già previsti - ribatte Pantaleo -. Per ora a noi risultano solo i 20 milioni aggiunti nel decreto 137. Briciole».

PATRIZIO ROMANO

RIVOLI (TORINO)

Mani nelle mani. Così il ministro Mariastella Gelmini ha ascoltato la disperazione dei genitori di Vito Scafidi, il ragazzo di 17 anni morto nella sua aula nel Liceo scientifico Darwin di Rivoli. Ieri pomeriggio, verso le 16, dopo il sopralluogo nella scuola, il ministro è corso all'ospedale per vedere i genitori e parlare con loro. Un incontro in una stanza dell'ospedale. A pochi passa dalla camera mortuaria. «Avrei preferito avere un figlio somaro, ma vivo - le ha detto il papà Fortunato le lacrime agli occhi -. Ministro, chiuda le scuole se non sono sicure, perché noi genitori li mandiamo in classe pensando che siano aprotetti, non che debbano morire così».

Il ministro lo ascolta tenendo nelle sue le mani ferite della mamma, Cinzia Caggiano, che piange in silenzio e quelle della sorella Paola. «Faccia qualcosa, la prego» le ha detto la mamma distrutta. Uno sfogo che ha commosso il ministro. «Sembrava che stesse quasi per piangere» confida uno dei presenti. «Capisco la vostra tragedia - ha risposto la Gelmini -. Ci stiamo impegnando, mi creda». Un rosario di disperazione e di pianto, ma sempre composto, quello che ha raccolto il ministro girando nei diversi ospedali dove i ragazzi feriti erano ricoverati. «Non è possibile che un ragazzo perda la vita a scuola - ha dichiarato -. Quella di Rivoli è una tragedia incomprensibile, davvero incomprensibile».

E poi ha garantito che il governo si è impegnato a garantire la sicurezza nelle scuole italiane. «Si possono fare molte cose - ha affermato - e nel decreto scuola c'è un articolo che mette a disposizione risorse per la sicurezza nei nostri istituti».

Inoltre, nel 2008, ha aggiunto il ministro, sono stati distribuiti 300 milioni per garantire la sicurezza nelle aule. «Con il sottosegretario Bertolaso abbiamo disposto un piano per mettere in sicurezza le cinque scuole meno sicure d'Italia». Un impegno, quello del governo, che prevede circa 900 milioni di euro per interventi di miglioramento dell'edilizia scolastica. Ma l'azione, secondo la Gelimini, deve essere su vari fronti e da parte di diversi attori. «Desidero convocare la Conferenza unificata di Regioni, Province e Comuni - ha promesso -, perché ogni ente in base alle sue competenze faccia tutto il possibile perché simili tragedie non accadano più».


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