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La Stampa: Fioroni fa lo scout per esorcizzare l’«autunno caldo»

DEMOCRISTIANO DOC, ALLIEVO DI ANDREOTTI, IL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE TENTA LA STRADA DEL DIALOGO PER EVITARE CHE ANCHE QUEST’ANNO LE SCUOLE VENGANO OCCUPATE

17/08/2006
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La Stampa

Il Vaticano L’aspetto La carriera

Il suo ingresso nel governo di centrosinistra è stato fortemente voluto dal neo segretario di Stato Tarcisio Bertone
e dall’arcivescovo Josef Clemens

Ha un fare pacioso ma chi lo conosce avverte di non farsi ingannare dalla sua presunta «mollezza viterbese»

Nella Margherita lo consideravano una sorta di «cugino di campagna» ma adesso sta studiando da leader

In tenda con gli studenti di sinistra «Ma poi andrò anche con quelli di An

distratta nonchalance, tipica dei democristiani di una volta: «A fine estate mi hanno invitato gli studenti di sinistra, mi sa che resterò a dormire con loro. In campeggio...». Giuseppe Fioroni, Beppe per gli amici, da 90 giorni è ministro della Pubblica Istruzione e mentre preannuncia la notte in tenda assieme agli studenti dell’Uds, viene naturale chiedergli: la speranza di un autunno senza scuole occupate, val bene una notte in campeggio? Lui sorride compiaciuto: «Figurarsi ho fatto lo scout fino a 25 anni... Ma non è così: poi vado anche dalla Sinistra giovanile e da Azione giovani, i ragazzi di An». Sapersi mischiare, pragmaticamente dialogare anche con i più lontani da te è una prerogativa che il nuovo ministro della Pubblica Istruzione ha ereditato dal maestro della sua gioventù: Giulio Andreotti.

Certo, uno come Andreotti che nella sua vita è riuscito a dialogare col maresciallo Graziani e con Yasser Arafat, con Salvo Lima e con Giovanni Falcone, con Marco Pannella e con Pio XII è personaggio difficilmente imitabile. E infatti il divo Giulio non ha lasciato eredi. Eppure, pochissimi politici come Fioroni, incarnano alcune peculiarità dell’inimitabile Andreotti, fatte le ovvie proporzioni. Anzitutto, la fiducia da parte della Chiesa. Nelle settimane che hanno preceduto la formazione del governo Prodi, due influentissime personalità - gli arcivescovi Tarcisio Bertone e Josef Clemens - lo hanno fatto trapelare a chi di dovere: «Al governo Fioroni ci dovrà stare». Personaggi di peso nella Chiesa: il tedesco Clemens per 20 anni è stato il segretario personale di Josef Ratzinger e quanto a Bertone qualche settimana più tardi è diventato il «premier» del Vaticano. D’altra parte la Chiesa (l’unica a non abbandonare Andreotti ne momento della caduta) ha sempre il suo uomo di fiducia in ciascun governo: Girolamo Sirchia e Letizia Moratti nel quinquennio berlusconiano, Beppe Fioroni nell’incerta stagione dell’Unione.

Una fiducia guadagnata con un cursus honorum che Fioroni racconta così: «Nella mia città, Viterbo, ho iniziato a far politica con i decreti delegati del 1977: al liceo, assieme ad un gruppo di amici scuot decidemmo di fare una lista democratica e cattolica. Eravamo quelli che le prendevano quando c’erano i tafferugli, ma sbalordimmo tutti, battendo la sinistra e la destra». E col passare degli anni il giovane Fioroni sale su quel doppio binario partito-orbita cattolica che una volta formava le classi dirigenti e oggi non esiste più: «Mi ero iscritto alla Dc e ricordo la sezione di Viterbo, molto spoglia con le sedie di legno che portavamo dalla parrocchia. E mi ero iscritto anche all’Università Cattolica di Roma e fu allora che gli amici andreottiani mi chiesero di assumere un incarico nel Movimento giovanile Dc: dovetti rinunciare perché mio padre voleva che mi “sistemassi”. Mi laureai in medicina, insegnavo al “Gemelli” ma quando a Viterbo mi chiesero di fare il sindaco, il rettore mi disse: “Vai pure”. Avevo 30 anni».

Oggi Fioroni di anni ne ha 48, è diventato il cocco di Franco Marini e il prossimo autunno scolastico aiuterà a capire se Giuseppe detto Peppe diventerà o no una delle rivelazioni del governo Prodi. Sovrappeso e col suo viso pacioso, lombrosianamente parlando Fioroni non sembra un ministro da prima linea. Ma uno che lo conosce da anni sostiene che la vera natura è diversa da quella che appare: «Non fatevi ingannare da quella mollezza viterbese - dice l’ex presidente della Regione Calabria Luigi Meduri, della Margherita - dietro c’è una capacità di lavoro, di ascolto e di gestione che diventa decisionismo».

Certo, il ministro degli studenti e degli insegnanti è atteso da un battesimo di fuoco e lui stesso si racconta con autoironia: «Il primo giorno che sono arrivato nello studio del ministro in viale Trastevere, mi hanno chiesto: “Vuole la scrivania che è stata di Benedetto Croce o quella di Giovanni Gentile?”. Mi è venuto spontaneo, rispondere: “Ma che state a di’?”». Ma l’esser finito alla Pubblica Istruzione è un altro segno della vocazione tardo-democristiana: i dipendenti del ministero sono un milione e centomila e i grandi numeri non sono mai dispiaciuti ai politici pragmatici, che amano il piccolo scambio di favori.

Il «piccolo Andreotti» ha un’altra caratteristica tipica del suo primo maestro: la vocazione per le battute. Ma mentre Andreotti distilla il suo sarcasmo con studiata freddezza, Fioroni è un «caldo», uno pronto a rovinarsi pur di far battute.

La sua specialità sono le diagnosi psico-somatiche dei colleghi della Margherita, tanto fantasiosi quanto esilaranti. Un modo anche per difendersi dai colleghi rampanti che lo hanno sempre considerato una sorta di «cugino di campagna». Ora il viterbese Fioroni è arrivato ai piani alti: non sarà facile restarci. «E invece - sostiene un personaggio esperto come Pierluigi Castagnetti - per la sua capacità di studiare i problemi, per quella cultura democristiana di governo che procede un passo alla volta, il disegno riformatore non sarà dichiarato ma si vedrà alla fine».

Qualche giorno fa, alla cena indetta da Fioroni come prova generale per la costituzione di una corrente di tutti i popolari della Margherita si sono seduti a tavola 77 parlamentari. Dario Franceschini, quasi si fosse tornati ai tempi degli andreottiani e dei colombei, scherzando si è chiesto: «Fioroniani o Fioronei?».


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