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La Stampa: Boom di studenti lavoratori

Sono passati dal 4,6% del 1996 al 14,2% dell'anno scorso

15/03/2009
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La Stampa

ANDREA ROSSITORINO

La crisi è arrivata anche dentro le università. E, stavolta, i conti degli atenei, le riduzioni ai fondi e la ricerca imbrigliata non c’entrano. La provincia ha appena pubblicato uno studio sulla condizione dei giovani a quattro anni dal diploma. E c’è un dato che ha fatto scattare l’allarme: nel 1999 il 4,6 per cento alternava studio e lavoro. Cinque anni dopo si era all’8,4 per cento. Il fatto è che adesso la percentuale è schizzata verso l’alto: 14,2 per cento, il triplo rispetto a dieci anni fa. Immagine in movimento: alle soglie del 2000 i ragazzi che si fermavano dopo la maturità erano di più; oggi il 64 per cento va avanti e si iscrive a un ateneo. «Un dato superiore alla media nazionale», spiega l’assessore provinciale all’Istruzione Umberto D’Ottavio. Tanti, però, lo fanno a proprie spese. O, almeno, cercando di dare una mano alla famiglia che paga loro gli studi.

«Negli ultimi anni tra le classi meno abbienti la situazione economica ha cominciato a pesare nella fase pre-crisi», conferma il rettore del Politecnico Francesco Profumo. Non a caso, tra le classi più svantaggiate si sta accentuando la percentuale di chi va a lavorare dopo il diploma. In famiglia c’è bisogno di soldi, studiare è un «lusso» che alcuni non si possono più permettere. Al tempo stesso si delinea un’altra tendenza: chi non ha alle spalle la certezza di un sostentamento si trova a provare entrambe le soluzioni. E allora tanti si iscrivono all’università, ma devono trovare una fonte di reddito per far fronte al costo degli studi, che non si ferma alle tasse d’iscrizione: «Ci sono gli affitti, i trasporti, i libri, il vitto. Per le famiglie è un salasso», racconta Roberto Piumatti, uno dei coordinatori dell’Unione degli universitari. C’è un altro fattore: quasi il 60 per cento di chi si diploma deve aspettare almeno due anni per trovare lavoro. Nell’attesa, quindi, tanti decidono di cominciare l’università e, nel frattempo accontentarsi di occupazioni saltuarie. Ma, in definitiva, l’ostacolo determinante resta di natura economica. E il sistema universitario non aiuta a superarlo. «Mentre il costo della vita cresceva, e di non poco, le fasce Isee, attraverso cui si può ottenere una riduzione sulle tasse, sono rimaste invariate», spiega Piumatti.

E aggiunge: «Secondo un nostro studio l’incidenza delle tasse su una famiglia a basso reddito è tripla rispetto a una famiglia con reddito alto». Gli studenti dell’Udu da tempo chiedono una riforma che alle fasce Isee sostituisca una tassazione percentuale sul reddito. E denunciano disparità. D’Ottavio è d’accordo: «Chi non lavora si laurea prima. Le condizioni di partenza risultano determinanti». La spinta a entrare prima nel mondo del lavoro, tuttavia, può, in certi casi, trasformarsi in un piccolo investimento sul futuro. Profumo ne è convinto: «Nei giovani, che vedono una sempre maggior incertezza per il futuro, si sta diffondendo la volontà di anticipare l’avvicinamento al mondo del lavoro, per non trovarsi impreparati il giorno dopo la laurea. Non si può cambiare pelle in un giorno: da studente a lavoratore. Ci vuole una fase di transizione. E se questa fase avviene durante gli studi è un vantaggio».

L’evolversi del mercato ha indirettamente contribuito a schiudere strade un tempo impraticabili. «Il processo di flessibilizzazione del lavoro può aver inciso», spiega Luca Savoja, docente alla Facoltà di Economia e curatore del rapporto della Provincia. «La frontiera tra studio e occupazione è sempre stata mobile. Ora sono aumentati i lavori a termine e le tipologie contrattuali che consentono di tentare la carriera universitaria e al tempo stesso avere un’occupazione». È possibile, ma spesso chi lavora è costretto da necessità più che da opportunità. E, in fondo, il sospetto è che tra le cause di abbandono - fenomeno che riguarda molti studenti di Politecnico e Università - è possibile che si annidi anche la difficoltà di far convivere studio e lavoro.


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