La Stampa-AAA tecnici cercansi per rifare la scuola
La bocciatura dell'Ocse: bisogna conoscere le differenti realtà dietro i dati negativi AAA tecnici cercansi per rifare la scuola di Arnaldo Bagnasco La ricerca pubblicata dell'Ocse sulla qu...
La bocciatura dell'Ocse: bisogna conoscere le differenti realtà dietro i dati negativi
AAA tecnici cercansi per rifare la scuola
di Arnaldo Bagnasco
La ricerca pubblicata dell'Ocse sulla qualità dell'apprendimento scolastico in 32 paesi industrializzati ha avuto giustamente ampio spazio e primi commenti su questo giornale. Si tratta di dati davvero allarmanti sullo stato della nostra scuola, peraltro già documentato in precedenti ricerche, che trova ora conferma in un ampio confronto internazionale. All'uscita dalla scuola dell'obbligo, tenuto conto di tutti i diversi parametri utilizzati nella ricerca, i ragazzi italiani risultano significativamente sotto la media rispetto ai coetanei nel resto del mondo; più in dettaglio, sono per esempio al 20° posto nella comprensione di un brano scritto, al 23° nella cultura scientifica, al 26° nelle conoscenze matematiche.
Possiamo farci un'idea di cosa significhino in pratica queste valutazioni ricordando un dato di una ricerca di qualche anno fa: negli istituti tecnici industriali e nei licei scientifici uno studente su quattro non aveva saputo calcolare una percentuale, uno su due negli istituti commerciali e nei licei classici. La condizione della scuola ha già pesanti conseguenze sulla nostra società, e di più pesanti ne avrà in futuro, se non si corre ai ripari. Nei commenti, le prime osservazioni riguardano le conseguenze prevedibili sulle possibilità di sviluppo economico: nell'economia contemporanea la conoscenza è infatti diventata la prima risorsa produttiva.
Si può però aggiungere un altro risvolto, meno ovvio, della questione: nella fluida economia di mercato di oggi siamo tutti invitati a essere imprenditori di noi stessi, a investire a seconda delle opportunità, sempre adattandoci a seconda del vento. Questo nuovo gioco difficile può complessivamente riuscire solo se sono diffuse le risorse per giocarlo: fra queste, assolutamente di base, perché alla base di ogni possibilità di futuri apprendimenti, sono le capacità logiche, espressive, di calcolo che si imparano negli anni della scuola.
I dati citati ci dicono che, nel prossimo futuro, molti non riusciranno a reggere il gioco, e rischieranno di andare alla deriva. Le conseguenze non toccano però solo l'economia. Pensiamo alla partecipazione politica: siamo sicuri che i cittadini comprendano bene le domande che sempre più di frequente sono poste in sondaggi, per misurare e raccogliere l'opinione pubblica? Chi risponde "non so" è perché non ha un'opinione precisa o perché non capisce cosa viene chiesto? E chi risponde ha davvero capito? Se ci fosse un referendum sulla delicata questione delle rogatorie, quanti si troverebbero nella imbarazzante condizione di non sapere cosa significa quel termine?
Lo spazio della manipolazione dell'opinione pubblica si sta ampliando. Non è il caso di edulcorare la pillola, ma c'è bisogno di capire bene. Una questione importante è che quelli riferiti sono dati medi, che possono anche nascondere significative variabilità. In uno stesso tipo e livello di scuola esistono - lo sappiamo - istituti eccellenti e altri pessimi. D'altro canto, si sa anche che buoni percorsi liceali e buoni percorsi universitari consentono a giovani laureati italiani di inserirsi molto bene in dottorati all'estero, per esempio negli Stati Uniti: la loro preparazione di base è considerata eccellente.
Probabilmente le medie, che sicuramente sono cattive, nascondono però significative differenze e polarizzazioni, e proprio su queste bisognerebbe indagare, anche se al momento i dati non lo consentono. Sulla qualità di insegnamento e apprendimento incidono molti fattori, interni ed esterni alla scuola; riflettere sui meccanismi che oggi producono polarizzazioni - a parità di ordinamenti, programmi, dotazioni - sarebbe illuminante. Un esempio è la differenza regionale. Una ricerca degli anni settanta aveva trovato per il Meridione risultati peggiori rispetto al nord e paragonabili a quelli ottenuti in paesi in via di sviluppo.
Ciò ha certo che fare con le condizioni di svantaggio socioeconomico del Meridione, ma dire questo non è ancora individuare perché e come quelle condizioni si riflettono sulla scuola. D'altro canto il Sud è molte realtà diverse, e polarizzazioni importanti verso il basso si trovano anche in zone del Nord. È il caso di molti distretti industriali di successo nel mitico nordest (ma non solo), dove si è riscontrata una scolarizzazione nelle secondarie molto bassa, perché appena possibile i giovani sono spinti al lavoro. Qui non è difficile immaginare un meccanismo che riguarda anche il rendimento scolastico: è il gioco al ribasso che si innesca fra studenti svogliati, famiglie pressanti e professori demotivati nell'ambito di una cultura locale che vede nella scuola un passaggio poco importante, da superare in fretta.
Quanto più meccanismi del genere conosceremo, relativi alle tendenze di polarizzazione, tanto più potremo intervenire efficacemente, evitando di riprodurne anche nei nuovi schemi scolastici in progetto. Per esempio, non è una ipotesi peregrina immaginare che la combinazione che si annuncia di privatizzazione della scuola e nuovo esame di maturità, con commissari interni, in qualche caso potrà aumentare gli alti rendimenti, ma in molti casi anche intrecci al ribasso delle aspettative di studenti, famiglie e insegnanti, cosa che già si verifica in molti istituti privati esistenti. Ne risulterebbe una media scadente. Le ricerche sociali disponibili sono in grado di suggerire diversi di questi meccanismi. Chi prepara la scuola del futuro ne tiene veramente conto?