La scuola superiore in presenza dal 50 al 75 per cento dal 18 gennaio
Le indicazioni del nuovo Dpcm. Ma rimangono lezioni a distanza al 100% nelle regioni rosse. Ecco cosa succede (per ora) nelle regioni
Ilaria Venturi
Nel nuovo Dpcm cosa cambia per la scuola? Il riferimento è agli istituti superiori: a "decorrere dal 18 gennaio 2021, almeno al 50 per cento e fino ad una massimo del 75 per cento della popolazione studentesca delle predette istituzioni sia garantita l'attività didattica in presenza. La restante parte dell'attività didattica è svolta tramite il ricorso alla didattica a distanza". Dunque il governo reitera la decisione già assunta dall'11 al 16 gennaio, anche se questa volta viene precisato che si può superare il tetto degli studenti in aula a metà, ma "sino al 75% e non oltre".
Regione per regione
Non accadrà nelle regioni zone rosse, come la Sicilia e probabilmente la Lombardia: in questo caso la didattica a distanza alle superiori rimane al 100%. Il rientro è previsto lunedì in Lazio, Molise, Piemonte ed Emilia-Romagna, dove il presidente si è già detto favorevole. Così Nicola Zingaretti nel Lazio, dove è circolata una falsa ordinanza che invece posticipava il ritorno tra i banchi. Mentre in Liguria, Giovanni Toti, ha deciso di slittare l'apertura di una settimana: "Abbiamo deciso, consultandoci con la nostra task force sanitaria, di andare avanti con la didattica a distanza per le scuole superiori ancora per una settimana, proprio per mantenere in calo" i parametri del contagio, ha detto il governatore. Lo stesso per l'Umbria: un'ordinanza regionale fissa la ripartenza al 25.
Mentre la Puglia rimane orientata al no. "In questi giorni stiamo lavorando anche a un piano innovativo salute-scuola. Quindi anche considerando questo e la novità importantissima che rappresenta la svolta della pandemia ovvero la vaccinazione, noi speriamo comunque di fornire al mondo scolastico un gradino in più di sicurezza" osserva l'assessore alla Sanità della Regione Puglia, Pier Luigi Lopalco, annunciando che per la decisione sulla scuola "aspettiamo il decreto del ministro della Salute, vediamo i contenuti del decreto e ragioneremo insieme su che cosa fare".
Con ordinanze regionali Marche, Calabria, Basilicata, Sardegna, Sicilia (che ora è rossa), Veneto, Friuli Venezia Giulia avevano deciso il rientro l'1 febbraio. Le scuole superiori potrebbero riaprire alle lezioni in presenza il primo febbraio "solo se non ci sono rischi. Sennò si valuterà lo scenario epidemiologico" dice il governatore del Veneto Luca Zaia. La Campania, che doveva ripartire il 25 (oggi il presidio degli studenti) e dove anche le ultime classi della primaria e le medie fanno lezione a distanza, deciderà domani sul rientro da lunedì di tutti i bambini delle elementari.
Gli studenti di Toscana, Abruzzo e Valle d'Aosta sono già in classe (a metà) dall'11 gennaio.
Le proteste
Nel frattempo continuano le proteste del Comitato Priorità alla scuola, con gli studenti che hanno occupato due licei a Milano, e flash-mob in varie città tra cui Genova. E si sono espressi i giudici del Tar, su ricorsi dei genitori, in Lombardia ed Emilia-Romagna, Regioni che avevano deciso di fermare il ritorno in classe sino a sabato 23 gennaio. "Illegittimo", dicono entrambi i tribunali amministrativi, quello dell'Emilia-Romagna si è espresso stamattina: le due ordinanze dei governatori Fontana e Bonaccini sono state così annullate.
"Siccome le sentenze si rispettano, proporrò lunedì di riaprire le scuole", il commento del presidente Stefano Bonaccini, che dopo il pronunciamento del Tar ha fissato un incontro con i sindaci per organizzare la riapertura, per la quale erano già stati messi in campo circa 500 autobus in più. Ma Bonaccini chiede anche al governo di intervenire: "Prenda una decisione, non lasciandola ai Tar: se ho rinviato l'apertura il 7 gennaio è perché la mia regione rischia il rosso".
Rimane lo sconcerto del mondo della scuola, che procede in ordine sparso. "Nelle scorse settimane abbiamo denunciato con forza come il caos delle aperture e delle chiusure delle scuole a seconda delle decisioni dei singoli presidenti delle Regioni sommato all'incapacità di coordinamento del governo, stia conducendo verso concrete forme di autonomia differenziata, il pericolo più grave per il sistema nazionale di istruzione e, di conseguenza, per l'unità del nostro Paese", afferma in una nota la Flc-Cgil.