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La scuola solubile

di Raffaele Iosa

12/01/2012
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ScuolaOggi

Volevo intitolare questo articolo “ scuola liquida” per descrivere come vedo la scuola italiana oggi. Ma per non scimmiottare Baumann, e per ragioni più prosaiche, ho deciso di chiamarla  “solubile”: cioè uno stato liquido senza forma, senza scheletro, amebica ma con  tracce di sali e zuccheri sciolti qua e là che non riescono a fare massa. Dalle tracce forse si può  ri-partire per ri-trovare un sensato senso pubblico per una  futura  formazione nel nostro paese migliore dell’attuale?

Una nuova Italia pubblica?

Nonostante l’incipit pessimista, ho trovato una possibile risposta positiva per trovare nuove tracce nei dati della ricerca di Ilvo Diamanti pubblicata il 9 gennaio 2012 su Repubblica dal titolo “Voglia di un paese migliore”. Ricerca imperdibile per chi si occupa di scuola con una visione democratica delle opportunità dopo anni di depressione. Nel settore “fiducia nelle istituzioni” gli italiani danno fiducia alla scuola con un bel 55,7%,  +3,3% rispetto al 2010.  La scuola è ottima terza. Prime le forze dell’ordine (71,8% con un -2,6 dal 2010), e il Presidente della Repubblica (65,1 dal 70,9 del 2010). Giù e ultimi le banche con il 15,4% (crollo in un anno  -7,2%), il Parlamento 8,9% (in un anno -4,5%, metà del consenso), i partiti 3,9% (metà consenso del 2010).

Miracolo a scuola? Come mai le cresce la fiducia? Come mai questo exploit?  Ma  Diamanti dice altre cose interessanti. Ad esempio che nel 2001 la fiducia (onda Berlinguer) era al 61,3%, e la soddisfazione per il servizio al 51,7%, dieci punti più dell’attuale 42,1%. Un  dato che insegna che quando la politica cerca “il grande scenario”  funziona di più tutto. Tra “fiducia” e “soddisfazione” di oggi la differenza è interessante: ci si fida più degli operatori che dei servizi offerti. Potremmo dire che lo scarto attuale tra fiducia alla scuola (55,3%) e soddisfazione per il funzionamento (42,1%) si può leggere così: la fiducia onora gli insegnanti perché hanno resistito nonostante tutto, la soddisfazione boccia le politiche della destra, non solo sui tagli economici ma  anche sui valori.      E poi il paradosso delle scuole private: apprezzate al 46%,5 nel 2001, decadute al 24% di oggi, dopo anni di apologia del privato. Ci saremmo aspettati l’inverso. Sullo sfondo uno strutturale cambio di tendenza: la “voglia di migliore pubblico”  aumenta,   cala la “voglia di privato” dal 31% del 2002  al 21% di oggi per tutti i servizi di welfare. Una voglia “repubblicana” di pubblico?

A dire degli italiani, una scuola dimagrita, selettiva, centralizzata, meritocratica funziona peggio e dà meno fiducia. La ricerca Diamanti sorprendentemente sembra indicarci dunque la presenza di un’area valoriale profonda sull’educare che ha tempi braudeliani più lunghi della politica,  che sembra ancora (e nonostante tutto) piacere se ancorata all’art. 3 della Costituzione come presidio di civismo e opportunità, e non di liberistico merito e selezione fondati sul reddito di origine.

Dati sorprendenti, per alcuni inattesi, ma non leggibili come automatica vittoria di una qualche sinistra politica. Mai come in questi anni si è sentita invece forte la differenza tra una “sinistra pedagogica” ed una incerta “sinistra politica”. Questi dati sembrano invece un monito al paese per ri-trovare maggiore serietà quando si fa educazione (sale e zucchero, solidi). Segni oltre la destra e la sinistra, ma duro per chi è di sinistra (questa liquida sinistra), per  una fiducia da rispettare oltre le incertezze di un pensiero pedagogico soi disant democratico ma spesso tecnocratico-corporativo.    Si potrebbe persino dire voglia  di  “sinistra pedagogica” anche senza sinistra politica? A vedere l’appeal degli attuali partiti non c’è dubbio, se la parola sinistra ha senso nella dizione classica di Norberto Bobbio. Oppure se la parola è desueta o liquida, voglia di valori veri e solidi.

Vedo in questa aumentata fiducia nella scuola attese antiche e moderne, per una scuola come  opportunità per tutti, solida, ottimista, civile, dove si sta bene e si impara volentieri, dove al centro c’è la relazione normale  tra adulto e studente. Una scuola per tutti più importante del merito di qualcuno (come diventare avvocato a Reggio Calabria perché più facile e poi osannare il Merito). Forse la scuola che la maggioranza degli italiani trova ancora nelle classi dei loro figli, che cerca di salvarsi dai disastri prodotti da altri. Leggi o no, riforme o no, gli insegnanti continuano ad agire la platea educativa con successo. Cosa offrire loro? Conservazione o desideri?

 

ALCUNI ESEMPI FRA I TANTI

 

Eppure tutto ci direbbe di una scuola intorbidita.  Cito qui alcuni esempi disastrosi, perché rendono ancora di più sorprendenti i risultati della ricerca Diamanti. Scritti qui proprio per confermare (per contrappunto)  il “nonostante tutto” da cui si può ripartire per una scuola migliore.

Esempio 1. Ci voleva la Fondazione Agnelli a dirci quanto è mal ridotta la scuola media. Ma pochi ricordano che 13 anni fa con la Legge 30 Berlinguer aveva compiuto una scelta strutturale (ciclo lungo unitario, 7 anni) che oggi avrebbe già formato 2 generazioni, alleggerito finalmente la superiore a 18 anni (come in Europa). E forse ridotta la dispersione. Certo fa ridere veder oggi l’affannosa obbligatorietà degli istituti comprensivi,  tormentone veloce per risparmiare, ma a cui nessuno oppone più obiezioni pedagogiche. La montagna ha partorito il topolino: mettere insieme il preside e la segreteria piuttosto che i bambini!  Ma chi ha bocciata la legge 30? E’ più colpevole Veltroni che ha mandato via Berlinguer o il cattivone Bertagna? La Sism-Cisl che ha fatto la grande guerra o i Cobas cui bastano i posti e ciccia al resto?

Esempio 2.  E’ ormai insopportabile la condizione dei nostri alunni con disabilità per il loro stato liquido a fronte della durezza di interessi corporativi: formazione, selezione, organizzazione contrattuale degli insegnanti di sostegno sembrano  fatti fa un cinico per garantire la massima discontinuità a ragazzini che avrebbero bisogno più di altri di stabilità. Conta di più il punteggio   che il singolo alunno. Pochi capiscono che l’affannosa richiesta di più posti di sostegno è direttamente proporzionale alla volatilità dei docenti. Tutte le ricerche confermano che se i docenti sono più stabili diminuisce la domanda di ore. La stabilità è qualità e risparmio, e invece continuano le sentenze dei tribunali. E per reazione burocratica si  mandano i disabili a mortificanti accertamenti legali, come se pullulassero genitori imbroglioni. Tanto per dire quanto si considera serio il sostegno, qualcuno si inventa il riciclo dei perdenti posto in sostegni con un corsetto on-line di 120 ore. La solita  formazione onanistica persona-schermo di cui è noto il disastro pedagogico e il business dei signori delle piattaforme. Pochi però sanno che più di 250.000 insegnanti “regolari” hanno il titolo di sostegno, acquisito in corsi lunghi e che hanno usato il sostegno come scorciatoia per l’ingresso in ruolo nelle cattedre. La fiducia nella scuola degli italiani sarebbe più corrisposta se qualcuno avesse il coraggio di agire con organici funzionali che obblighino tutti i docenti regolari con il titolo a fare sostegno in cambio della stabilità. Ci si fiderebbe di più  se il sindacalismo capisse che non c’è futuro per finti “diritti” che sono invece sciocchi interessi senza valore civile né di qualità. In attesa, ovviamente di avere una formazione di base che davvero obblighi tutti a studiare pedagogia speciale come “normale”, visto che l’Italia ha il miracolo  di un’esperienza inclusiva unica al mondo e che sta diventando ridicola (liquida) per colpa di queste vergogne.

Esempio 3. Quindici giorni fa, nell’ufficietto provinciale dove aspetto la pensione (come si fa a chiamare ex-provveditorati questi luoghi afoni di progettualità?), la Fondazione di una banca locale (repubblicani e massoni) ha regalato alcuni computer nuovi per la grande cifra di 6.000 euro. Vengo a sapere oggi che un’altra banca locale (cattolica e curiale) ha regalato alla Questura altri computer. Mi sono sciroppato una festicciola a base di pizzette e la foto per il ringraziamento.

Non è difficile esalare acide ironie per l’assurdo civile di questo stato, con la dolorosa percezione di aver rubato soldi alle scuole che, allupate di denari, cercano di tutto per sbarcare il lunario. Abitualmente offro il mio cellulare agli impiegati per telefonare ai dirigenti scolastici reperibili solo al cellulare, visto che ormai hanno tutti due scuole e non si sa mai dove trovarli, e visto che dall’ufficio è vietato chiamare cellulari. Ci si abitua anche alla micragna, ed anzi secondo alcuni teorici (e anch’io lo penso) un po’ di “penuria” può essere salutare, ma qui siamo ad altro. Siamo al disprezzo dei ruoli minimi della cosa pubblica,  alla liquidazione (più che alla solubilità) di qualsiasi programmazione finanziaria anche della  stessa penuria. I tagli sono decisi sempre al centro  e crolla qualsiasi responsabilità. E se nel mio ufficietto volessimo far noi le pulizie e in cambio avere libertà di telefono? Impossibile! Mai come in quest’epoca siamo stati derubati dal centro di qualsiasi  responsabilità. Nessun standard di spesa né obiettivo è stato discusso. Tutto liquidato. Nessuno risparmia più, né investe, i soldi promessi non arrivano, quelli che arrivano sono già super destinati.

Esempio 3. Chi sa dire cosa  e come si insegna oggi nelle elementari? Nessuno. Tra ribaltoni giuridici casuali, tartufismi delle scuole (soluzioni solubili di residua collegialità), tagli di organici, la scuola elementare (sarebbe la meglio al mondo) è oggi una sbobba di cui sfugge un minimo senso pedagogico e organizzativo. In questi mesi un monitoraggio a risposte (ovviamente) chiuse e via on line (onanistiche) chiede agli insegnanti alcune cosette. Sarà l’esito conoscitivo del nulla, ma una bella entrata per i fautori dell’on life. E intanto muore la ricerca pedagogica, le università fanno  solo lauree e master, il Dio misura interpreta il bene e il male della scuola con numeretti.

Esempio 4. Non è difficile oggi dichiarare fallita l’autonomia delle scuole,  resa liquidissima da totale mancanza di poteri reali dal basso, dall’aver ridotto i dirigenti a sergenti, dalla fine della flessibilità didattica entro recinti  rigidi. Più che liquida, la nebulizzazione di un sogno di un’intera generazione. Ma di chi la colpa? Solo dei Moratti e dei Gelmini, o anche delle pigrizie sindacali, o anche delle aristocratiche Mastrocole innamorate della lezione frontale ai fighetti languorosi che leggono Proust?  Questa scuola liquidissima sembra ridursi solo all’autonomia disdicevole che imita il Club Mediterannè con pedagogie consumiste (molti dei progetti) e la svendita-liquidazione dei bambini a consumatori di patacche.

Intanto da 13 anni la burocrazia ministeriale piuttosto che cedere via via poteri alle autonomie si perpetua. Nel dilettantismo politico, la burocrazia ha oggettivamente fatto da  centrale conservativa al posto del network nazionale-locale tra autonomie.  Poi tra i burocrati è arrivato anche  lo spoil sistem, che ci ha fatto ridere e piangere con la storia del tunnel da 700 chilometri.  Sulla gestione ministeriale del decennio, nessuna differenza tra destra e sinistra. E i sindacati dov’erano? Forse l’antica alleanza corporazioni-burocrazia? Forse questa alleanza come uno dei fattori del fallimento dell’autonomia?   E forse, a  sinistra non ha anche dominato la fobia dell’autonomia (meglio della sussidiarietà e della partecipazione orizzontale)?

  Esempio 5.  In Italia nascono rari bambini: dal 1995, anno-tracollo nella storia italiana (1,37 bambini in media per donna), l’indicatore è cresciuto per una decina d’anni fino all’ 1,43 del 2007, illudendo alcuni di una ripresa del “futuro come speranza”. Dato per la verità aumentato anche per l’immigrazione stabile. Ma dal 2007 la quota cala di nuovo, il 2010 segnala un brutto 1,39,  poche speranze ci sono che il 2011 e questo duro 2012 invertano la tendenza. La fertilità torna a scendere,  anche nelle donne straniere, torna il “futuro come minaccia”. Il paese non ha la  soglia di rimpiazzo. Un paese destinato in futuro a scomparire, pieno di vecchi, oggi intanto sempre più  policulturale, in cui si impone ormai (questione di civiltà) che ai nati in Italia sia garantita la cittadinanza del paese.

Ma c’è di più. Aumenta ancora  l’età media del primo parto: siamo ormai vicino ai 32 anni. Neo madri quasi nonne, con una percentuale  attorno ai 40 anni che sfiora il 35%.

Le ragioni sono varie (in passato ho scritto molto sull’argomento, sui cosiddetti neo-bambini). Ma non è un caso che parallelamente alla crisi economica cala la fertilità. Che però forse cala non solo perché vi è meno lavoro, ma perché sono calati anche i servizi. Mai come in questi anni abbiamo subito la contrazione dell’offerta di sezioni della scuola dell’infanzia. Ai fautori dei tagli lineari (spesso cattoliconi  idolatri della famiglia) ironicamente rispondiamo che forse facendo più sezioni e attrezzandole bene, creeremmo un po’ più di voglia nelle nostre giovani coppie (già precarie di suo) a fare figli, perché c’è  un “servizio di speranza” piuttosto che il nulla  fai da te. Insomma più scuola dell’infanzia avrebbe anche un impatto demografico. Ma chi ci pensa?

Esempio 6. Qui il  caso è facile facile. Non c’è dubbio che il sistema italiano Invalsi di valutazione della scuola sia debole e quasi inutile. Non tanto perché utilizza strumenti giusti o sbagliati, ma semplicemente perchè è il trionfo dell’ovvio, e non studia certo il vero core business pedagogico. Non servono i quadernetti dei test per conoscere la relazione tra performances dei bambini e il reddito familiare, la zona di residenza, le condizioni socio-economiche. Lo sappiamo fin da “Lettera ad una Professoressa”. Anzi la numerologia Invalsi applicata agli esami strangola la scuola al mito della pedagogia del quiz e al curricolo delle crocette. Questa banalità scippa denari e intelligenze a ben altre ricerche possibili e ben altri metodi, centrati di più sull’analisi dei processi, su come una scuola interviene per allargare o stringere le “aree di sviluppo prossimale” di ogni bambino, guardando i processi e molto (molto) dopo i prodotti. Mi auguro una gentile rivolta della pedagogia seria per una valutazione seria. Forse sarebbe più utile imitare anche, in modo positivo, il modello Cortina per le tasse. Andare, vedere, capire, controllare, e poi diffondere, intervenire chirurgicamente nelle patologie e premiare le eccellenze di processo più che quelle di prodotto.

FORSE SI PUÒ SPERARE

Se nonostante questi sei esempi, uno più brutto dell’altro, la scuola agli occhi degli italiani regge ancora forse c’è qualcosa di più profondo e piacevole nelle nostre aule. Cose  che la politica, l’amministrazione e il sindacalismo ormai non sa veder bene. La dimensione relazionale orizzontale è migliore di quanto si pensi. Forse succede che, anche se con tanti bambini e poche sezioni, le maestre della scuola dell’infanzia si facciano in quattro. Forse succede che, anche se ballerini, gli insegnanti di sostegno diano l’anima. Forse succede che anche se con pochi soldi gli insegnanti traffichino con materiali poveri ma interessanti. Forse succede che una categoria bistrattata, offesa dal fannullonismo, stia invece operando oltre i limiti per dare a se stessi e ai propri ragazzi la cosa più importante della vita: la dignità del proprio operare. Certo non tutti, certo non sempre, ma queste sono le sostanze solubilizzate da cui forse ripartire per il futuro della scuola. Nella mia vita ho sempre pensato che solo le grandi idee muovono davvero il mondo,  che l’apologia taccagna del presente uccide, che solo chi ha “visioni” incide. Di queste visioni sento dal mio ufficietto e dalle mie scuole estesa richiesta: pensare grande e lungo. Di coagulare le briciole diluite nella brodaglia di adesso attorno poche idee-guida. Che per me sono essenziali: pedagogia, pedagogia, pedagogia! C’è in giro fame di pedagogia e di didattica, sensate e liberate. Desiderio di carisma, ricerca, piacere dell’insegnare. Non è diverso anche per le questioni economiche: non basta  abbassare lo spread e salvare i risparmi, si deve pensare al futuro del paese decidendo quale sviluppo, come arrivarci, a quale welfare pensare ( se verticale da vecchio welfare state o orizzontale da nuovo welfare society).

Il governo attuale però dura poco, e ci piacciono i primi segnali: sono di (solida) saggezza.          Due piccole note per dire come anche da poco si capisca dai tecnici che non sarebbe difficile un futuro serio per la scuola. La proposta del ministro Profumo di riaprire i concorsi è eccellente. Al di là delle paturnie corporative, indica alle giovani generazioni che entrare nella scuola ad insegnare si può anche subito dopo la laurea, e che avere forme di selezione e formazione mirate è un bene. Farebbe poi solo bene agli studenti stessi avere meno nonni e più cugini.  Lasciare i posti solo ai precari  sarebbe la solita liquida via italiana all’arrangiarsi. Un cammeo ho trovato anche la metafora dell’amico sottosegretario Marco Rossi Doria, sulla “regola dell’hockey” per le azioni disciplinari nella scuola. Dopo il colorato muscolarismo dei votacci in condotta, un’idea finalmente pedagogica, che alle Mastrocole forse fa ridere ma che a noi maestri elementari viene dal cuore e con orgoglio. Davanti ad un ragazzo che sbaglia agiamo perché non sbagli più, la miglior punizione è una “mediazione”: un po’ in panchina ma a fare cose, e poi di nuovo in campo. Vuol dire osare pura filosofia sull’umano: nessuno è cattivo per sempre e di per sé. Piccole cose,  segni di saggezza né di destra né di sinistra, ma di assoluto buon senso. E soprattutto contenenti una visione.

Il problema è dopo, per le elezioni del 2013. A guardare la ricerca di Diamanti, infatti, colpisce che gli italiani convinti che ci può essere democrazia senza partiti sia la stessa (48%) di quella che crede nei partiti. Più che una questione di schieramenti, c’è vera crisi della politica, ma anche attesa di Politica saggia e sobria, che  finisca l’epoca dei venditori di tappeti. Ma alle elezioni si vota su partiti e programmi. Partiti di cui per ora non si vede chiaro, programmi che vorremmo almeno copiassero la serietà fisica e linguistica posseduta dagli attuali ministri tecnici.

Nel poco tempo che rimane, speriamo che questo governo semini pillole di serietà, capaci di aggregare dal brodo attuale un po’ di sostanze positive capaci di far massa e dire basta all’eterno presente, al qualunquismo, al dilettantismo, ai ladri. A sinistra come a destra. Dire poi sinistra politica è oggi dire ancora poco. Forse per la scuola serve inventare anche altro, trasversale, più creativo, serio (e perché no tecnico) che non pensi ai posti e ai voti ma ai bambini.  Su questo sarebbe piacevole lavorare.  Diamanti ci segnala un terreno fertile: la scuola italiana di ogni giorno è migliore di chi la rappresenta e la governa. Partiamo dunque a ri-sperare, forse anche con forme aggregative “oltre” la tradizione novecentesca, ma con l’ispirazione antica e insieme moderna che la scuola o è  per tutti o non è per nessuno.

 


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